Bari, 23 febbraio 2020.
BASILICA DI SAN NICOLA. Papa Francesco incontra i Vescovi del Mediterraneo.

#Bari2020. Mons. Pizzaballa, le Chiese del Mediterraneo un’unica voce profetica di verità e libertà

Il testo dell’intervento, in San Nicola, di mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico «sede vacante» del Patriarcato Latino di Gerusalemme. 

 

Beatissimo Padre,

In questi tre giorni di riflessione e preghiera sono tante le istanze e le urgenze sulle quali ci siamo confrontati. È stata una bella esperienza di Chiesa, che ci ha avvicinati l’uno all’altro più concretamente. Ci siamo ascoltati e abbiamo soprattutto ascoltato il grido che viene dai territori della sponda sud del Mare Nostrum, ci siamo scambiati esperienze e proposte e infine ci siamo dati alcune prospettive.

  • Ascolto
    Per prima cosa abbiamo voluto ascoltare la realtà nella quale siamo calati. Il Mediterraneo da secoli è al centro di scambi culturali, commerciali e religiosi di ogni tipo, ma è anche stato testimone di guerre, conflitti e divisioni politiche e anche religiose. Insieme a tanta bellezza, la storia ci ha consegnato sospetti, stereotipi e paure. Nel presente, anziché diminuire, tutto ciò sembra aumentare. Guerre commerciali, fame di energia, disuguaglianze economiche e sociali tra la sponda sud e nord del mediterraneo hanno reso questo bacino centro di interessi enormi. Il destino di intere popolazioni è asservito all’interesse di pochi, causando guerre e violenze che sono funzionali a modelli di sviluppo creati e sostenuti in gran parte dall’Occidente. Nel passato anche le Chiese – basti pensare al periodo coloniale – sono state funzionali a tale modello. Dobbiamo chiedere perdono, perciò, soprattutto ai giovani, per avere consegnato loro un mondo ferito e ci impegniamo a purificare le nostre relazioni e le nostre tradizioni attraverso atteggiamenti di condivisione.
    Le nostre Chiese del Nord Africa e del Medio Oriente sono quelle che pagano il prezzo più alto. Decimate nei numeri, rimaste piccola minoranza numerica esse non sono però Chiesa rinunciataria, ripiegata su di sé. Al contrario, essendo Chiesa non più preoccupata di occupare o difendere spazi di potere, ha ritrovato l’essenziale della fede e della testimonianza cristiana. Sono comunità che anche a fronte di enormi difficoltà e addirittura di persecuzioni, sono rimaste fedeli a Cristo. La «via della croce è propria dell’esperienza delle Chiese del mediterraneo. Essa, perciò, ci rende attenti a tutte le forme di violenza, di ingiustizia, alle vite spezzate che ancora oggi purtroppo sono una realtà quotidiana nella vita di molti Paesi del Mediterraneo. Pensiamo al destino di migliaia di migranti che fuggono da situazioni di persecuzione e di povertà e che hanno cambiato il volto di molte delle chiese che si affacciano sul Mediterraneo.
    Le Chiese del Medio Oriente e del Nord Africa hanno più volte ribadito che non hanno bisogno solo di aiuti economici, ma innanzitutto di solidarietà, di sentirsi ascoltate, che qualcuno si faccia voce della loro difficile realtà, dove però non ci sono solo ombre, ma vi è anche la luce di tante bellissime testimonianze di fedeltà e di solidarietà umana e cristiana.
  • Esperienze e proposte
    Cosa fare dunque, di fronte a tutto ciò? Come la Chiesa si pone di fronte a tale drammatica realtà? Non possiamo forse accedere ai tavoli internazionali, non potremo forse cambiare le decisioni dei potenti. Possiamo però intervenire laddove le nostre comunità si trovano per costruire nei nostri piccoli contesti di vita, vie diverse, alternative di pace, sviluppo e crescita. Se gli attuali modelli di sviluppo assoggettano la persona umana al consumo e alla violenza, noi continueremo a costruire comunità e relazioni che pongono al centro la persona in tutti i contesti della nostra opera: nelle scuole, negli ospedali, nelle innumerevoli iniziative di pace e solidarietà che, se non cambieranno il mondo, contribuiranno però a creare contesti di pace e di rispetto e sono testimonianza del nostro stile cristiano di stare dentro queste difficili realtà. Seppure piccole e affaticate, le nostre comunità non rinunciano a farsi carico del destino dei tanti ultimi e poveri del loro territorio.
    Il dialogo è l’altra forma di espressione della nostra vita ecclesiale. Esso è costitutivo della vita della Chiesa e intrinseco alla sua stessa natura. Abbiamo però anche detto che più che dialogo dovremmo parlare di convivialità, poiché noi viviamo assieme. Attraverso il dialogo ecumenico o la convivialità tra le Chiese ci impegniamo a organizzare stabilmente preghiere comuni per la pace. Ci impegniamo, inoltre, a istituire laddove non esistano comitati interreligiosi soprattutto con i credenti musulmani, che si ritrovino per realizzare insieme opere di solidarietà e condivisione. Vogliamo fare crescere e trasformare in esperienza, la fratellanza e la solidarietà umana. L’assumere e fare propria la situazione dei poveri e degli ultimi, inoltre, comporta anche la parresia, cioè il denunciare con franchezza il male, il peccato, le ingiustizie che causano la povertà e creano situazioni strutturali di ingiustizia. In un contesto spesso ricco di manipolazioni, le Chiese del Nord e Sud Mediterraneo desiderano diventare un’unica voce profetica di verità e di libertà.

 

  • Prospettive
    Abbiamo insistito, infine, nel rafforzare iniziative di conoscenza reciproca. Agevolare gemellaggi di diocesi e parrocchie, scambio di sacerdoti, esperienze di seminaristi, varie forme di volontariato. “Venite e vedete” è stato il nostro motto. Finora, forse si è molto “parlato sulle Chiese e le loro realtà”. Ora bisogna passare al “parlare con le Chiese e le loro realtà”. L’ospitalità che è tipica della cultura mediterranea deve iniziare innanzitutto tra noi. Ci sono chiese bisognose di presenza, di sacerdoti, religiosi e religiose che decidano di stare con, di testimoniare la loro solidarietà innanzitutto con la loro presenza.
    In una realtà complessa e articolata come quella mediterranea, dove la pluralità è la caratteristica principale delle nostre società, ci impegniamo a farci carico delle sue tante contraddizioni e, anche se non potremo risolverle, potremo però imparare e insegnare a viverle con speranza cristiana.
    Siamo solo all’inizio di un percorso che sarà lungo, ma certamente avvincente.
    Per questo abbiamo unanimemente deciso di continuare a vederci e incontrarci, stabilmente, per poter poco alla volta, nei tempi che il Signore ci indicherà, costruire un percorso comune dove le nostre comunità si possano ritrovare e fare crescere nei nostri contesti feriti e lacerati una cultura di pace e comunione.