«Siamo una diocesi in tutto e per tutto del Mediterraneo». Scherza il vescovo Petros Stefanou quando racconta la sua Chiesa. Una comunità circondata soltanto dal mare, l’Egeo, e formata da una costellazione di isole della Grecia: otto appartengono alla diocesi di Siro e Milo; altre sei a quella di Santorini; e poi c’è Creta, o meglio l’arcidiocesi di Candia, di cui il presule – anche lui nato su un’isola, nella cittadina di Ermopoli – è amministratore apostolico. È soprattutto su queste terre emerse dell’arcipelago delle Cicladi che «la Chiesa cattolica ha un ragguardevole numero di fedeli», spiega Stefanou. Un’eccezione rispetto al resto del Paese. Perché in tutta la nazione i cristiani in comunione con Roma sono poco più di 200mila su 11 milioni di abitanti. Una minoranza che però è in crescita esponenziale: grazie ai migranti che negli ultimi trent’anni l’hanno fatta raddoppiare. «Il loro arrivo – racconta il vescovo – è stato veramente un momento storico perché nelle nostre piccole parrocchie abbiamo avuto la possibilità di accogliere centinaia di cattolici che ci hanno ricordato la “cattolicità” della comunità ecclesiale e la bellezza di vivere con i fratelli di diverse culture che condividono la stessa fede. Ci hanno aperto gli orizzonti e spesso il loro stile “spirituale” ci ha edificati». Eppure si alzano muri: come quello costruito per fermare i profughi al confine con la Turchia. Uno Stato che incombe con il suo peso sulla Grecia, ben più che l’Unione europea.

I “grecigreci” sono ormai sempre meno fra i cattolici ellenici che in gran parte hanno radici oltre confine: albanesi, polacchi, filippini e, più di recente, africani sia anglofoni, sia francofoni. Una Chiesa povera fra i poveri. Ed esigua rispetto al colosso ortodosso. «In Grecia siamo stati riconosciuti come persona giuridica con una propria giurisdizione soltanto nel 2014», riferisce il vescovo di Siro e Milo, Santorini, Creta. E ancora aleggia l’assunto che l’aggettivo ortodosso sia di per sé associato a chi è nato in Grecia. «In un Paese dove il 95% della popolazione ritiene di far parte della Chiesa ortodossa – sostiene il presule – direi che è naturale, specialmente nelle regioni dove non ci sono cattolici, che valga la frase: “Il greco è ortodosso”. Lo Stato dichiara l’uguaglianza di tutti i cittadini ma nella pratica molte volte, per i non-ortodossi, ci sono delle discriminazioni che, di solito, si devono a funzionari dei servizi statali».

Il rapporto fra Chiesa e cittadinanza sarà al centro del prossimo incontro dei vescovi del Mediterraneo promosso dalla Cei che si terrà a Firenze dal 23 al 27 febbraio e al quale il vescovo Stefanou ha già assicurato di partecipare. Un appuntamento che radunerà i pastori di venti Paesi affacciati sul grande mare, probabilmente un centinaio, e che sarà affiancato da un forum dei sindaci del bacino invitati dal primo cittadino di Firenze. «Si tratta di momenti preziosi perché ci danno la possibilità di fare esperienza di Chiesa – sottolinea il presule –. Contribuiscono ad avvicinarci l’uno all’altro. Favoriscono la conoscenza reciproca, la condivisione di iniziative o proposte. E consentono di capire in profondità i problemi e le sfide delle nostre comunità nel Mediterraneo».

Un mare, eccellenza, intorno a cui si muovono imponenti flussi migratori. La Grecia è un approdo per coloro che giungono dall’Asia e dall’Africa: nel 2020 sono stati oltre 100mila, quest’anno la metà. Come favorire l’accoglienza?

L’arrivo di centinaia di migliaia di persona può, in alcune situazioni, aver creato problemi logistici e pratici che abbiamo faticato a risolvere o sono stati affrontati solo parzialmente. Nelle isole raggiunte dai migranti le nostre comunità ecclesiali sono veramente ridotte. Malgrado ciò, con l’aiuto della Caritas di alcuni Paesi europei, abbiamo potuto offrire consistenti aiuti.

Spesso vengono definiti «inferni» i centri di accoglienza nel Paese, soprattutto quelli nelle isole, per le condizioni in cui versano i rifugiati.

Questo è vero. Tuttavia, quando in un’isola approdano ogni settimana migliaia di migranti, il cui numero arriva ad essere di molto superiore a quello dei residenti, è difficile gestire diversamente quanto accade.

Sono ancora complessi i rapporti con la Chiesa ortodossa?

Non ci sono relazioni ufficiali fra le due Chiese. La Chiesa ortodossa, in conformità alla Costituzione, continua ad essere la «religione predominante» e si sente autosufficiente. Lo Stato, di solito, quando legifera su temi che hanno una ricaduta ecclesiale, ha come riferimento la Chiesa ortodossa. E soltanto in seguito le norme varate si applicano anche alla Chiesa cattolica o ad altre confessioni. Ma la situazione sta migliorando con il passare degli anni. E soprattutto nelle località dove sono più numerosi i cattolici sono state allacciate positive relazioni personali, anche se non istituzionali. Certo, è interessante che alle ultime due ordinazioni episcopali cattoliche che si sono avute in Grecia fra maggio e settembre sia stata presente una rappresentanza della Chiesa ortodossa.

Come i cattolici vivono la loro condizione di minoranza?

Siamo appena il 2 o il 3%. Di conseguenza gravano su di noi le leggi che riguardano le minoranze, specialmente in materia di immigrazione e cittadinanza.

La Grecia ha vissuto una gravissima crisi economica. Adesso si sta risollevando.

Abbiamo avuto anni difficili. Come comunità ecclesiale ci siamo mobilitati nonostante le poche risorse a disposizione. E abbiamo potuto sostenere, con diversi programmi, centinaia e centinaia di famiglie nelle loro necessità.

Tema pandemia. Come è stata affrontata l’emergenza sanitaria?

Sin dall’inizio il governo ha adottato numerosi provvedimenti e, pur con diversi limiti, è riuscito ad aiutare le famiglie e a finanziare le imprese che erano state chiuse nel periodo del lockdown.

Il Covid ha fatto crescere le disuguaglianze fra le sponde del Mediterraneo?

Senz’altro. E ha aggravato il quadro. Pensiamo soltanto alla distribuzione dei vaccini nel mondo. Tutto questo ci fa capire quanto ancora dobbiamo lavorare per creare una mentalità di vera condivisione e di pace.

La Chiesa cattolica gestisce scuole, ospedali, sportelli di aiuto. Possono essere laboratori di fraternità?

Le nostre istituzioni formative, assistenziali e caritative, fin dal loro sorgere, sono state improntate alla cultura dell’incontro e tuttora sono rinomate non solo per la professionalità, ma soprattutto perché continuano ad essere strutture che attuano una concreta unificazione fra le diverse componenti sociali. E i loro servizi sono per tutti, senza discriminazioni e senza qualsiasi forma di selezione.

Il Papa potrebbe visitare la Grecia e Cipro all’inizio di dicembre…

Lo aspettiamo con grande gioia ed entusiasmo. La sua presenza nella nostra terra, le sue parole confortanti, i momenti di preghiera con lui e gli incontri cha avrà con la Chiesa ortodossa daranno a tutti coraggio e speranza per vivere e testimoniare la nostra fede in Cristo.

Come le Chiese possono promuovere un “patto di fraternità” nel Mediterraneo, secondo lo spunto lanciato dalla Cei?

Il primo passo è la conoscenza reciproca. Se l’altro, oltre che un nome, ha anche un volto, la costruzione di una rete di fraternità e condivisione diventa quasi spontanea. Il secondo passo consiste nel favorire i gemellaggi tra le comunità. Si tratta di dar vita a piccoli progetti comuni che, coinvolgendo le persone, creino le basi per un’azione più ampia. Questo modo di procedere ha già dato in passato ottimi frutti.

Giacomo Gambassi

da Avvenire del 29 ottobre 2021