“Quali doveri per le comunità religiose nella città?”

Pubblichiamo il testo della relazione del prof. Giuseppe Argiolas, Rettore dell’Istituto Universitario Sophia, che illustra il secondo tema al centro dei lavori dell’Incontro “Mediterraneo di pace”.

Introduzione

Il mio breve intervento, dal titolo “Quali doveri per le comunità religiose nella città?”, nel quale intendo offrire alcune riflessioni introduttive alla giornata odierna, si articolerà in quattro punti: il primo s’impegna a definire quel fondamentale dovere che Papa Francesco descrive come dovere di “toccare”; il secondo individua il dovere di “camminare insieme”; in terzo luogo proverò a delineare fondamento e significato di questi “doveri” nel “patto di fraternità”; per approdare, in conclusione, al patto educativo globale.

 Primo dovere: “toccare”

La realtà del Covid-19 ha segnato un “prima” e un “dopo”: uno sguardo ampio, attento alla crescente complessità, appare oggi in tutta la sua urgenza; il mondo globale, le sue sfide, le sue crisi, i suoi sviluppi, necessitano di un approccio inter e transdisciplinare a partire da quella stessa complessità che s’annuncia sfida propizia oltre che crisi lacerante. Ma le discipline dialogano, troppo spesso lo dimentichiamo, se dialogano le persone, opportunamente preparate, che le rappresentano; sono infatti le persone, con tutto il bagaglio disciplinare acquisito, ad essere chiamate a una sempre maggiore condivisione delle proprie conoscenze: e dunque una autentica inter e trans-disciplinarietà non può prescindere da una sana educazione al dialogo che metta al centro la persona e la qualità delle relazioni.

Il riflesso di questa complessità è evidente: a giusta ragione, in alcuni contesti, si può parlare di una vera e propria sindemia[1], perché all’interazione tra più patologie si aggiungono le condizioni socio-economiche ed ambientali disagevoli, le quali aggravano la qualità di vita della popolazione richiedendo un approccio non solo sanitario alla questione, ma di più ampio e complesso sguardo interdisciplinare. Un approccio globale si mostra non meno necessario anche in altre aree, dove l’indispensabile contributo a livello sanitario si accompagna all’urgenza di offrire soluzioni praticabili all’emergere di ferite sociali, economiche, politiche, ambientali.

Tra i diversi aspetti che la pandemia ha fatto esplodere in tutta la sua gravità, non possiamo ignorare una povertà di natura strutturale: una povertà materiale, relazionale, esistenziale, culturale. Il purtroppo polifonico “grido dei poveri”, nei diversi livelli ora menzionati, va ascoltato, e le ferite da cui nasce vanno “toccate”, come ha ricordato Papa Francesco in una recente intervista per la televisione italiana. “Toccare” significa compromettersi, non solo “pensare”, ma “sentire” per essere capaci di “agire” per “sollevare”[2]: il Papa ci ricorda che “sapere” qualcosa è condizione necessaria ma non sufficiente per agire; in altre parole: sapere e non fare, equivale a non sapere affatto. Questa complementarietà tra pensiero e prassi è essenziale per esprimere la vocazione all’unità – intellettuale e pratica – della persona nell’esercizio, insieme autonomo e convergente, dei diversi saperi. Siamo dunque chiamati ad attivare la solidarietà e la comunione, il che significa «fare spazio all’altro e ricevere spazio nell’altro, in una condivisione di valori, motivazioni, azioni, progetti, talenti e intenti fino a sperimentare una libera co-appartenenza»[3].

In una parola: “toccare” le varie forme di povertà materiale, relazionale, esistenziale, culturale, per affrontarle a partire dalla consapevolezza della nostra comune povertà creaturale e, seguendo l’insegnamento e l’esempio del Cristo[4], farsi prossimo con il povero, quale che sia la forma di povertà, è il primo dovere delle comunità religiose rispetto alla città.

Secondo dovere: “camminare insieme”

Immaginiamo ora dei cerchi concentrici: dal cuore del primo, che potrebbe essere quello della propria comunità di fede, si accede subito al secondo, rappresentato magari dal proprio quartiere, quello in cui si vive, e questo è già città, implicando una interazione che segue livelli sempre più complessi e articolati. Giorgio La Pira scriveva:

«[…] la persona umana si radica nella città, come l’albero nel suolo […] Essa si radica negli elementi essenziali della città: e cioè, nel tempio, nella casa, nella officina, nella scuola, nell’ospedale. Non solo: proprio per questa relazione vitale e permanente fra la città e l’uomo, la città è lo strumento appropriato per superare tutte le possibili crisi cui la storia e la civiltà vanno sottoposte»[5].

Il sindaco di Firenze, con profetica lungimiranza, ci indica un secondo “dovere”: quello di camminare insieme (si pensi all’importante, direi indispensabile cammino di sinodalità intrapreso al presente dalla Chiesa cattolica). Che la relazione sia essenziale al perseguimento di un obiettivo comune era già chiaro ad Aristotele: «“Due che marciano insieme…”» – egli scrive – «hanno infatti una capacità maggiore sia di pensare sia di agire». (Aristotele, Etica Nicomachea, VIII, 1155a, 15-17). Il filosofo di Stagira indica la relazione come elemento costitutivo non solo per “agire” – nel senso forte della πρᾶξις (praxis) – ma anche per sviluppare una “capacità maggiore” di “pensare”. Trovare dunque le risposte adeguate per agire con responsabilità e incisività a livello locale, nella propria città, presuppone “due che marciano insieme”, perché nel marciare insieme nasce e cresce un’intelligenza capace di andare incontro alle specifiche esigenze della propria città, praticando quella solidarietà che assume e si fa carico delle povertà, delle sfide, dei dolori, delle angosce, delle speranze. “Andare avanti insieme” non significa appiattire lo specifico contributo di ciascuna comunità religiosa ma sperimentare, come scrive Papa Francesco: «un’unità multiforme che genera nuova vita». (LS, 245).

Se “camminare insieme” si configura come il secondo dovere – dico dovere, non semplice auspicio morale – delle comunità religiose rispetto alla città, vale la pena chiedersi: da dove ripartire? Come garantire il “cammino comune” capace di generare «nuova vita» e dunque risposte adeguate ai bisogni dell’oggi della città? Come attualizzare il “cammino comune” se non tornando alla radice profonda che lo rende possibile? E cioè al “patto di fraternità”?

Il Patto di fraternità: alla radice dei doveri

La parola patto, come noto, richiama una dimensione pre-legale che poi si declina – nel senso che orienta – in doveri, regole, norme. Parlare di “doveri per le comunità religiose” impone che sia presa in considerazione la portata, se volete la radice, di ciò che essi (i doveri) sono chiamati a significare. Papa Francesco, nell’udienza concessa all’Istituto Universitario Sophia, ha detto:

«Il patto è la chiave di volta della creazione e della storia, come ci insegna la Parola di Dio: il patto tra Dio e gli uomini, il patto tra le generazioni, il patto tra i popoli e le culture, il patto – nella scuola – tra i docenti e i discenti e anche i genitori, il patto tra l’uomo, gli animali, le piante e persino le realtà inanimate che fanno bella e variopinta la nostra casa comune. Tutto è in relazione con tutto, tutto è creato per essere icona vivente di Dio che è Trinità d’Amore! È oggi compito prioritario, dunque, educare a vivere questo patto, anzi a essere questo patto vivo in tutte queste dimensioni: per aprire le strade del futuro a una civiltà nuova che abbracci nella fraternità universale l’umanità e il cosmo. Questa vocazione alla fraternità, questo vivere in fratellanza oggi è indispensabile, non si può camminare senza di essa».

Andando al fondo della dimensione pattizia potremmo individuare nel patto “tre nature”: una natura disposizionale, una fattuale ed una esperienziale. La natura disposizionale fa riferimento appunto alla disposizione, alla volontà esplicitata di impegnarsi nel perseguire quanto sancito nel Patto stesso[6]. La natura fattuale evidenzia, invece, la necessità della concretizzazione dell’impegno in comportamenti conseguenti con quanto dichiarato. Infatti, se le dichiarazioni non si tramutano in comportamenti, non solo fanno perdere di significato, ma addirittura fanno divenire controproducenti e dannose le dichiarazioni stesse[7]. Infine, la natura sperimentale fa riferimento al sentire sulla propria pelle gli effetti dei comportamenti coerenti, gli effetti della solidarietà vissuta: ecco un’altra espressione del “toccare” cui abbiamo accennato.

Quale dunque il primo “contenuto”, se così possiamo dire, del patto, se non la fraternità? «In nome della “fratellanza umana” che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali», come recita il documento sulla fratellanza umana (Abu Dhabi, 4 febbraio 2019) è possibile dare nuova “forma” al patto. Una “forma”, usando ancora le parole del documento, «per cooperare tra di noi e per vivere come fratelli che si amano». Tale solida radice permette di declinare il patto anche nella città, e nello specifico nei doveri delle comunità religiose verso la città. È così possibile immaginare diversi livelli del patto intimamente interconnessi ma dove la fraternità, o meglio l’amore reciproco per vivere come fratelli, si pone quale “orizzonte prospettico” della vita sociale con il patto dichiarato, vissuto, sperimentato (cfr. Papa Francesco, Fratelli tutti). Ancora oggi risuona l’appello di Giorgio La Pira: «Amatela questa città, come parte integrante, per così dire della vostra personalità […] Amatela come si ama la casa comune destinata a noi ed ai nostri figli»[8].

Amore reciproco dicevo, linfa del patto; amore misericordioso, per realizzarlo; unità nella libertà e nella convergenza, per goderne i frutti. A partire non da presunte solide certezze ma da un amore di «testa, cuore, mani, anima»[9] è forse possibile testimoniare il patto nella vita della città nella dimensione personale, della famiglia e delle organizzazioni, della e delle comunità; consapevoli, come ricorda Benedetto XVI, che

«La testimonianza autentica chiede il riconoscimento e il rispetto dell’altro, una disposizione al dialogo nella verità, la pazienza come una dimensione dell’amore, la semplicità e l’umiltà di colui che si riconosce peccatore davanti a Dio e al prossimo, la capacità di perdono, di riconciliazione e di purificazione della memoria, a livello personale e comunitario» (Benedetto XVI, Ecclesia in Medio Oriente, 12).

 Per rispondere nella città globale alla povertà: il patto educativo globale

Come la luce che entra nel prisma è una ma si rifrange nei sette colori dell’arcobaleno[10], il patto, l’amore reciproco che esso sancisce, si declina e prende forma in diversi aspetti: nell’economia, nella politica, nelle relazioni internazionali, nella comunicazione, nella salute (personale, sociale e del creato), nella bellezza, nella cultura. Cosicché quella povertà materiale, da cui siamo partiti, possa essere colmata dal lavoro, non dallo sfruttamento, e il lavoro non essere ostaggio dell’ingiustizia sociale, ma al contrario si riveli mezzo di umanizzazione, come ha ricordato Papa Francesco nell’udienza generale il 12 gennaio 2022;  quella povertà relazionale, che abbiamo poi evidenziato, possa trovare conforto nell’incontro con i fratelli, nello sguardo, nel “tocco” dei fratelli; quella povertà esistenziale, che troppo spesso oggi ci abita, possa essere riempita di senso nell’ineffabile incontro dell’anima con Dio; ed infine quella povertà culturale, che c’impedisce di “camminare insieme”, possa essere placata da una formazione culturale ed un’educazione integrale e permanente. L’urgente sfida della povertà, delle diverse povertà, è banco di prova del Mediterraneo, dei suoi abitanti e dei suoi migranti, delle sue comunità e delle sue città, dei suoi uomini e delle sue donne, degli adulti, dei giovani e dei bambini. In questo modo, veramente,

«Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti» (Gaudium et spes, Proemio, 1).

Quella nostra, quella del Mediterraneo, come ogni autentica sfida globale, richiede di essere affrontata localmente, con intelligenza e consapevolezza, con lo sguardo spalancato sull’orizzonte dell’umanità intera. Solidità a questo processo potrà venire solo da un patto educativo globale che metta al centro l’umana fratellanza e faccia, del dialogo fra tutti, il metodo – nel senso di ὁδός (odós) via, cammino – per avanzare. Il tema dell’educazione è in fondo il leitmotiv, il comun denominatore delle diverse declinazioni appena accennate del patto: dimensione antropologica, comunicativa, culturale, economica, politica, generazionale, interreligiosa, pedagogica e sociale, tutte richiedono uno sforzo educativo importante e continuo. Tornare alla domanda di Giorgio La Pira, anche oggi, non è banale: «Quale l’ideale da presentare alle nostre popolazioni, e non solo alle generazioni mature, ma alle generazioni giovani, che hanno tanto peso in una città?»[11].

Quando Papa Francesco il 12 settembre 2019[12] ha lanciato «l’invito a dialogare sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta e sulla necessità di investire i talenti di tutti, perché ogni cambiamento ha bisogno di un cammino educativo per far maturare una nuova solidarietà universale e una società più accogliente», ha colto, penso, il segno dei tempi: offrire alle nuove generazioni una “educazione permanente”, urgenza del presente per “sognare” il futuro “con i piedi per terra”. Sappiamo che la sfida educativa è al centro dello sguardo di Papa Francesco e per essere portata avanti richiede: una scelta consapevole, a partire dall’impiego di risorse economiche per l’educazione; una docile risolutezza, quella tipica del dialogo orientato dall’amore reciproco; e da ultimo, non per importanza, una grande passione. L’impegno è arduo per tutti, ma la distanza tra ciò che siamo e il dover essere cui tendiamo, per la comunità cristiana, ha un nome: Gesù Crocifisso Risorto. È lui il Signore della storia ed è attraverso di Lui, “pupilla dell’Occhio di Dio”[13], che possiamo guardare ai fratelli e alla storia per entrare nella comunione con Dio e nella comunione tra gli uomini e con l’intero creato. Sì, come discepoli del Vangelo, la buona e bella notizia rivolta a tutti, nella gioia e nella libertà, siamo chiamati ad annunciare e testimoniare che «Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini»[14].

Ringrazio tutti e ciascuno per il prezioso ascolto.

 

 

 

[1] Cfr. R. Horton (2020), Offline: COVID-19 is not a pandemic, in The Lancet, Vol.396, Issue 10255, p. 874; C. Kenyon (2020), Syndemic responses to COVID-19 should include an ecological dimension, in The Lancet, Vol.396, Issue 10255, pp. 1730-31; E. Mendenhall (2020), The COVID-19 syndemic is not global: context matters, in The Lancet, Vol. 396, Issue 10255, p. 1731

[2] Cfr. Lc. 10, 25-37

[3] G. Argiolas, Il valore dei valori. La governance nell’impresa socialmente orientata, Città Nuova, Roma 2014, p. 141.

[4] «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor. 8, 9). Cfr. Lc. 10, 25-37.

[5] G. La Pira, Le città non possono morire, da un discorso tenuto in occasione del Convegno dei sindaci della città capitali del mondo, 2 ottobre 1955; cfr. G. La Pira, Le città sono vive, La Scuola, Brescia 2005, pp. 44.

[6] Cfr. G. Argiolas, Il valore dei valori, cit., p. 154.

[7] Ibidem.

[8] AA.VV., L’Unità d’Italia e le città. Il messaggio di Giorgio La Pira, Le lettere, Firenze 2012, pp. 121-122.

[9] Cfr. Papa Francesco, Incontro sul Patto educativo globale “Religioni ed educazione”, Discorso del Santo Padre Francesco, Città del Vaticano, Sala Clementina, 5 ottobre 2021.

[10] C. Lubich, Una via nuova. La spiritualità dell’unità, Città Nuova, Roma, 2002; La Dottrina spirituale, Città Nuova, Roma 2006.

[11] U. De Siervo, G. Giovannoni, G. Giovannoni, Giorgio La Pira Sindaco. Scritti, discorsi e lettere, vol. II (1955-1957), Cultura Nuova Editrice, Firenze 1988, pp. 145-146.

[12] Francesco, Messaggio del Santo Padre Francesco per il lancio del Patto educativo, Città del Vaticano, 12 settembre 2019.

[13] Cfr. G. Rossé, P. Coda, Il Grido d’Abbandono. Scrittura, Mistica, Teologia, Città Nuova, Roma 2020.

[14] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 52; Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 178; Cfr. CONCILIO VATICANO II, Lumen Gentium, n. 9; Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, Œconomicæ et pecuniariæ quæstiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario, n. 4, 06 gennaio 2018.