Firenze 23–02-2022
CEI - Mediterraneo Frontiera di Pace
incontro della Conferenza Episcopale Italiana 
Apertura dei lavori nel Convento di Santa Maria Novella.


Servizio realizzato durante la pandemia Corona Virus/Covid-19

Ph: Cristian Gennari/Siciliani

L’Introduzione di Mons. Antonino Raspanti, Vice Presidente della CEI

Pubblichiamo l’Introduzione di Mons. Antonino Raspanti, Vice Presidente della CEI, dal titolo: “Le Comunità cristiane nelle Città mediterranee”. 

 

  1. Le comunità cristiane: una minoranza in contesto pluralistico

Quando Giorgio La Pira diramò l’invito a partecipare al primo Convegno internazionale per la pace e la civiltà cristiana (23-28 giugno 1952), desiderava uno «scambio di idee sulle condizioni attuali della civiltà cristiana nel mondo e sulle sue capacità inesauribili di essere valido strumento per la pace e l’unificazione dei popoli». Nel discorso di apertura egli definì l’incontro «un concilio delle Nazioni cristiane o che vivono nell’orbita universale del cristianesimo», in memoria del Concilio di Firenze del 1439, e dichiarò che il convegno voleva essere un appello fraterno all’unità, rivolto a «tutte le Nazioni che [avevano] fatto scisma, operato una secessione”[1]. I suoi riferimenti erano alle Chiese orientali ortodosse e alle Nazioni del Patto di Varsavia; all’incontro odierno conveniamo ben altri attori rispetto ai rappresentanti delle Nazioni, per quanto ci ispiriamo direttamente agli ideali di pace universale lapiriani alla ricerca di uno specifico contributo che alla pace possono dare le Chiese e i popoli del Mediterraneo.

Introducendo ai lavori, cari Confratelli, espongo alcuni tratti di un quadro entro il quale svolgere le conversazioni, richiamando sia la fecondità delle intuizioni di La Pira sia la distanza che da quell’epoca ci separa. Non potrò argomentare i tratti esposti, ma farò quasi un indice per disegnare una costellazione che orienti nel dialogo. Fisserei così lo zenit su cui tener fisso lo sguardo: poiché da pastori desideriamo dialogare convivialmente delle problematiche che maggiormente attengono al bene delle Chiese a noi affidate, riconosciamo che il tema “Città e cittadinanza” focalizza il rapporto concreto e più prossimo con la società e mette alla prova la vitalità evangelica delle Chiese.

Dalle citazioni lapiriane sopra riportate acquisiamo due tratti fondamentali: il cristianesimo 1) ha una portata universale per la sua fede in Cristo, piena e definitiva rivelazione dell’amore di Dio, suo Padre, per tutta l’umanità 2) è valido strumento per la pace perché unifica i popoli. Noi crediamo fermamente in entrambi questi articoli della fede, ma constatiamo che il quadro ambientale odierno è profondamente cambiato, come sono cambiati i presupposti culturali, teologici e filosofici tramite i quali era messa a tema la fede lapiriana. L’universalità della fede cristiana ed ecclesiale, parimenti a quella che rivendicano altre religioni o visioni del mondo, non è più riconosciuta in Occidente, particolarmente a partire dal decennio successivo a quei colloqui; di conseguenza, non è riconosciuto al cristianesimo un ruolo privilegiato per la costruzione della pace, mentre la questione dell’unità dei popoli soffre una forte crisi, nonostante tentativi ammirevoli come quello delle Nazioni Unite.

Poiché è sotto accusa la credibilità delle Chiese, le nostre comunità mediterranee, per ragioni diverse nei diversi luoghi, devono esibire alla società e alle autorità pubbliche la propria credibilità e lealtà, soprattutto dimostrando di saper neutralizzare al proprio interno ogni tipo di violenza, di rimanere trasparenti e anche scevre da ogni tentativo di proselitismo o ingerenza nelle decisioni politiche[2]. Ripartiamo, in altri termini, da dove il santo Padre ci suggerì a Bari: «Come Gesù operò in un contesto eterogeneo di culture e credenze, così noi ci collochiamo in un quadro poliedrico e multiforme, lacerato da divisioni e diseguaglianze, che ne aumentano l’instabilità. In questo epicentro di profonde linee di rottura e di conflitti economici, religiosi, confessionali e politici, siamo chiamati a offrire la nostra testimonianza di unità e di pace. Lo facciamo a partire dalla nostra fede e dall’appartenenza alla Chiesa, chiedendoci quale sia il contributo che, come discepoli del Signore, possiamo offrire a tutti gli uomini e le donne dell’area mediterranea»[3].

Il compito diviene più complesso in quanto le comunità vivono in contesti di pluralismo culturale e religioso e in condizione prevalente di minoranza. Le religioni mondiali, infatti, sono diventate contemporanee sia storicamente sia geograficamente, per dirla con Piero Coda[4]. Non è in gioco la pluralità delle religioni, ma la presa di coscienza di essa a partire dal vivere quotidiano gli uni accanto agli altri di persone diversamente credenti nella medesima città, e dalla necessità di una praticabile gestione della situazione nuova in cui oggi ciò accade. Pluralismo e minoranza sono tuttavia due termini che si coniugano in modo diverso nelle città mediterranee, da Istanbul a Sarajevo, da Algeri ad Atene a Damasco. Questa nuova percezione della pluralità religiosa incrocia, inoltre, la crisi dell’esperienza e del concetto stesso di verità[5]. Gesù Cristo, poi, rischia di non essere visto più, talvolta neppure dai cristiani, come la rivelazione definitiva e universale della verità di Dio, ma soltanto come una delle strade che portano a Lui. Non ultima, infine, è la sfida della povertà, dell’oppressione e dell’incombente crisi ecologica. «Da milioni e milioni di uomini e donne sale verso Dio e verso il resto dell’umanità un’invocazione pressante e drammatica di giustizia, di solidarietà, di pace, di salvaguardia del creato»[6]. Spesso gran parte di queste grida di protesta sono rivolte alla fede cristiana e all’immagine di Dio da essa proposta: il Dio dei cristiani da che parte sta? Il Dio dei cristiani è davvero il Dio dell’esodo, il Dio di Gesù che proclama «Beati i poveri», che è venuto ad annunciare proprio a loro la lieta novella e che ha condiviso sulla croce il destino di chi è ingiustamente rigettato ed eliminato? O è un Dio strumentalizzato, ideologico, organico allo status quo delle potenze terrene che opprimono i Paesi poveri e lasciano inghiottire i migranti dal mare?

Se pluralità e diversità, intrecciate da domande laceranti e tuttora attuali come le migrazioni e i morti nei naufragi, rendono arduo ogni tentativo di lettura teorica onnicomprensiva del tema, dall’altro lato arricchiscono sia il nostro dialogo sia la riflessione scientifica, perché non danno per scontata la dominante lettura occidentale della secolarizzazione, che, seppur ridimensionata negli ultimi decenni, tradisce ancora troppi elementi mitici poco aderenti al particolare storico-politico così variegato e frastagliato. Piuttosto dobbiamo meglio discernere il senso del ritorno del sacro in tempo di post-modernità, che non sta significando automaticamente ritorno alla fede cristiana, ma piuttosto l’apertura di credito verso altre forme religiose, spesso fondamentaliste, e talvolta anche pseudo-religiose, con fughe pseudo-mistiche[7].

Non possiamo, nondimeno, ignorare il cambiamento avvenuto nel secolo scorso con l’emarginazione nell’area del privato o in certi casi l’espulsione della religione cristiana dalla scena pubblica della società e il conseguente misconoscimento di qualsiasi sua pretesa di rappresentare e veicolare il divino nella storia. Questo cambiamento ha segnato profondamente i Paesi europei, e per l’influenza culturale di questi ultimi, tramite il colonialismo, si è propagato nella maggioranza dei Paesi mediterranei, dando vita a dinamiche nuove, post-coloniali, pur con le particolarità del comunismo balcanico e del variegato mondo islamico. Sarà opportuno, forse nel dibattito che già apriamo stasera, che alcuni di noi illustrino la condizione nella quale le religioni e le comunità cristiane vivono lo spazio pubblico della propria città. Potremo così nei prossimi due giorni fare un passo avanti e ricercare, come da programma, quei diritti e doveri delle nostre comunità che immaginiamo possano mettersi a tema, sia per stimolare le comunità stesse sia per dialogare con le autorità cittadine.

  1. Le religioni, la violenza e l’annuncio cristiano

Almeno due questioni consideriamo circa la nostra presenza nello spazio pubblico della città: 1) in contesto pluralistico l’accusa rivolta alle religioni, compresa la cristiana, di generare violenza o almeno di non saperla contenere; 2) la missione dell’annuncio cristiano. Sono due punti che sembrano distanti tra di loro, ma incidono profondamente sul nostro rapporto con il mondo circostante e condizionano la coscienza del singolo credente.

L’accusa di generare violenza non riguarda soltanto gli eventi storici del passato, bensì la contemporaneità, soprattutto dopo gli attentati del 11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York. La questione del legame sociale e quella della violenza tra stili di vita (più che tra religioni) differenti provocano, a parere di Christoph Theobald, una domanda articolata in tre livelli, che mi sembra utile riproporre alla nostra riflessione[8]: 1) come domanda di principio posta a tutti i cittadini sul piano dell’opinione pubblica, cosa può oggi tenere insieme una società cittadina e come essa può integrare le grandi tradizioni religiose? 2) come interrogazione reciproca, come possono esse interagire tra di loro e verso la società nel suo insieme? 3) come richiesta di ciascuna tradizione al proprio interno, come può dominare e governare situazioni di violenza?

Mi soffermo sul terzo livello della domanda. Il decreto conciliare Dignitatis Humanae parlando della ricerca della verità in materia religiosa, quale diritto e dovere di coscienza di ogni persona, sostiene che essa può essere cercata solo nella comunicazione e nel dialogo comune: «La verità va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale: e cioè con una ricerca condotta liberamente, con l’aiuto dell’insegnamento o dell’educazione, per mezzo dello scambio e del dialogo con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca, gli uni rivelano agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta» (n. 3). In particolare, valutando la libertà religiosa alla luce della rivelazione, il decreto ribadisce che in materia religiosa si escluda ogni forma di coercizione da parte degli esseri umani e, pertanto, l’annuncio stesso del Vangelo deve seguire il modo di agire di Gesù: «Cristo, che è Maestro e Signore nostro, mite ed umile di cuore, ha invitato e attratto i discepoli pazientemente. Certo, ha sostenuto e confermato la sua predicazione con i miracoli per suscitare e confortare la fede negli uditori, ma senza esercitare su di essi alcuna coercizione» (n. 11). È interessante che in questo testo e nelle righe successive sia chiamata in causa non solo l’assenza di ogni violenza da parte dei cristiani nell’annuncio del Vangelo, ma che si appelli alla testimonianza della loro vita proprio sull’esempio di Cristo: questi «ha ultimato la sua rivelazione compiendo nella croce l’opera della redenzione, con cui ha acquistato agli esseri umani la salvezza e la vera libertà. Infatti rese testimonianza alla verità, però non volle imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo regno non si erige con la spada, ma si costituisce ascoltando la verità e rendendo ad essa testimonianza, e cresce in virtù dell’amore con il quale Cristo esaltato in croce trae a sé gli esseri umani» (ibidem). A Bari Papa Francesco ha auspicato l’elaborazione di «una teologia dell’accoglienza e del dialogo, che reinterpreti e riproponga l’insegnamento biblico. Essa può essere elaborata solo se ci si sforza in ogni modo di fare il primo passo e non si escludono i semi di verità di cui anche gli altri sono depositari. In questo modo, il confronto tra i contenuti delle diverse fedi potrà riguardare non solo le verità credute, ma temi specifici, che diventano punti qualificanti di tutta la dottrina»[9]. E l’insegnamento biblico non solo esclude la violenza, ma è incentrato sul Crocifisso risorto.

Pervengo velocemente alla seconda questione, la missione, per mostrare quanto sia collegata con questa prima. Lo stesso decreto, infatti, vi fa cenno nella consapevolezza che la pluralità delle religioni e la libertà religiosa non distruggono il dovere cristiano dell’annuncio: «I cristiani, comportandosi sapientemente con coloro che non hanno la fede, s’adoperino a diffondere la luce della vita con ogni fiducia e con fortezza apostolica, fino all’effusione del sangue, “nello Spirito Santo, con la carità non simulata, con la parola di verità” (2Cor 6,6-7)» (n. 14). Se la condizione di minoranza del cristianesimo, in tutti i Paesi del Mediterraneo, fa cadere la differenza fra Paesi cristiani e Paesi da evangelizzare, allora si comprende che la missione diventa la prospettiva fondamentale di queste comunità, se non addirittura quella che fonda e struttura la loro vita. La spinta consistente arriva dalla Evangelii Gaudium, che fa della missione il tema centrale della riforma della pastorale della Chiesa: «Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una “semplice amministrazione”. Costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno “stato permanente di missione”» (n. 25).

 

  1. L’annuncio missionario e la sinodalità

Comunione, partecipazione e missione costituiscono il tema del Sinodo dei Vescovi in atto, come anche dei vari cammini sinodali che molte conferenze episcopali stanno svolgendo nel mondo. Il Santo Padre così le spiega: «Le parole-chiave del Sinodo sono tre: comunione, partecipazione, missione. Comunione e missione sono espressioni teologiche che designano il mistero della Chiesa e di cui è bene fare memoria. […] Comunione e missione rischiano di restare termini un po’ astratti se non si coltiva una prassi ecclesiale che esprima la concretezza della sinodalità in ogni passo del cammino e dell’operare, promuovendo il reale coinvolgimento di tutti e di ciascuno. Vorrei dire che celebrare un Sinodo è sempre bello e importante, ma è veramente proficuo se diventa espressione viva dell’essere Chiesa, di un agire caratterizzato da una partecipazione vera»[10]. Non mi fermo a sviluppare il rapporto tra questo nostro cammino iniziato a Bari e qui proseguito con il valore intrinseco della sinodalità e della collegialità episcopale, quanto piuttosto sottolineo la forza rigenerante e fondativa della missione, radicata nella comunione, e il suo legame con quanto abbiamo sopra descritto.

La famosa espressione della “Chiesa in uscita” è collegata dal Papa all’incarnazione del Verbo e alla sua passione. Ciò può desumersi da innumerevoli citazioni, ma ne privilegio una, perché tratta dal discorso pronunciato qui a Firenze nel 2015 al V Convegno Ecclesiale nazionale della Chiesa italiana: «Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi i tre tratti che voglio oggi presentare alla vostra meditazione sull’umanesimo cristiano che nasce dall’umanità del Figlio di Dio. E questi tratti dicono qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme in un esempio di sinodalità. Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente»[11]. Il Papa coniuga la questione del cambiamento d’epoca, con al centro le crisi antropologica e socio-ecologica, con la questione ecclesiologica, richiamata sia con l’esplicito riferimento al camminare insieme, esempio di sinodalità, sia con l’intero impianto del discorso che si riferisce al modo di essere Chiesa da parte delle Chiese in Italia, che lì si interrogavano e riflettevano.

Entrambe le questioni trovano la chiave di volta in Cristo, che il Papa addita con il testo di Fil 2, 5-11: avere gli stessi sentimenti di Cristo, riassunti nello svuotamento: «Il volto di un Dio “svuotato”, di un Dio che ha assunto la condizione di servo, umiliato e obbediente fino alla morte (cfr Fil 2,7)». Desumiamo che la sinodalità possa tradurre in chiave ecclesiale ed ecclesiogica questa specifica angolatura cristologica, che caratterizza il magistero di Papa Francesco. Sono presentati tre sentimenti, umiltà, disinteresse e beatitudine, che hanno il fulcro nello svuotamento e nell’abbassamento di Cristo: «Dio – che è “l’essere di cui non si può pensare il maggiore”, come diceva sant’Anselmo, o il Deus semper maior di sant’Ignazio di Loyola – diventa sempre più grande di sé stesso abbassandosi. Se non ci abbassiamo non potremo vedere il suo volto. Non vedremo nulla della sua pienezza se non accettiamo che Dio si è svuotato»[12]. Centrata su questo fulcro si deve intendere l’uscita a cui egli invita la Chiesa, che significa una vera espropriazione, una spoliazione totale, da accogliere e realizzare nei credenti mettendosi in cammino sinodale. Questa spoliazione non è diversa da quella alla quale ogni fedele è chiamato nella missione, anzi, coincide essa stessa con la missione, come molti martiri contemporanei dall’Algeria all’Iraq ci testimoniano.

Da questo preciso punto dello svuotamento di Dio in Cristo mettiamo a fuoco la singolarità e unicità di Gesù quale messia, salvatore e Figlio unico di Dio, rileggendo l’intera spinta missionaria come necessaria ma anche capace di governare, assorbire e trasformare ogni violenza in offerta e testimonianza “eccessiva” d’amore. Questa santa ospitalità di Gesù, come la spiega C. Theobald, da cui si sprigiona lo Spirito che elimina i confini e appropria ai singoli la liberazione apportata da Cristo, soprattutto quando perviene a questo “eccesso” del dono della vita, trasforma il nostro rapporto con l’altro, permette il passaggio dal sospetto alla fiducia reciproca e, soprattutto, mostra che ciascun uomo giunge alla libertà e all’accoglienza di un nuovo e pacificato rapporto con la propria morte tramite l’incontro con Gesù di Nazaret, testimoniato dai suoi discepoli. Così accade per ogni discepolo, salvato e liberato, così può accadere per ogni persona.

Il Concilio Vaticano II distingue, nondimeno, fra «Tutti quelli che ha scelto, il Padre fin dall’eternità “li ha distinti e li ha predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29)» e «I credenti in Cristo, li ha voluti chiamare a formare la santa Chiesa»[13]. È impossibile[14] precisare maggiormente la relazione tra queste due categorie di persone, perché essa dipende dalla libertà umana sempre fallibile e primariamente dal mistero stesso di Dio che si manifesta come tale in questo punto; ecco la Gaudium et Spes: «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo … Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla risurrezione fortificato dalla speranza. E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini e le donne di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell’uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale»[15]. L’attività missionaria della Chiesa si colloca in questa tensione dialettica tra tutti gli uomini, inseriti nella sfera della grazia di Cristo, e coloro che seguono Gesù come discepoli, e non ha altro da annunciare se non Gesù, messia, Figlio unigenito di Dio, unico salvatore del mondo.

In tutti gli uomini, toccati dalla grazia di Cristo, si riafferma la fondamentale fiducia nella bontà e gratuità della vita tramite cui vincere e superare ogni ingiustizia e ogni male, sebbene questa fiducia trovi il punto di criticità dinanzi al mistero della morte, verso la quale essi possono solo nutrire una vaga speranza di qualcosa d’ulteriore. Il passaggio alla fede cristiana non è però necessario né dovuto, ma è una grazia: «Si ricordino bene tutti i figli della Chiesa che la loro privilegiata condizione non va ascritta ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo»[16]. Questa speciale grazia consente l’accesso agli intimi segreti divini per mezzo di Gesù Cristo (cf. DV 4) e apre un’esperienza che avvia una dinamica di comunicazione agli altri della rivelazione ricevuta. La missione dunque è interna e necessaria all’esperienza autentica delle intimità divine; in essa, come già nell’esperienza del Figlio, uno col Padre e da lui inviato, il discepolo desidera aprire alla libertà e alla pienezza di sé ogni uomo e donna, pur sapendo nella totale gratuità che questi possono non aderire alla chiesa visibile, ma semplicemente tornare a casa risanati e riconciliati con la propria vita. C’è un legame costitutivo tra il Vangelo e il suo annuncio missionario che passa per l’esperienza di fede del discepolo, ma che non pretende l’adesione alla Chiesa visibile dall’uomo cui l’annuncio si rivolge, bensì lascia che questi interpreti nella sua coscienza l’esperienza vissuta. In questo modo è rispettata, anzi promossa quell’identità personale, nella sua inalienabile libertà e nei suoi diritti fondamentali, così come essa è oggi rivendicata dalla cultura moderna[17].

È forse utile citare ancora ciò che secondo Theobald[18] ha eroso la coscienza missionaria, almeno in Europa, e che oggi, quale mentalità dominante anche tra molti cristiani europei, ostacola lo slancio missionario voluto da Papa Francesco. Anzitutto, alcune concezioni della tolleranza che vanno a volte di pari passo con un’identificazione di religione e violenza e confondono missione e proselitismo. Ma anche il fatto che la dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa è interpretata sulla linea della tolleranza moderna e non si tiene conto della ricerca comune della verità. Peraltro, la rinuncia a una tale ricerca si ritiene confermata anche dal fatto che il Concilio non ha ripreso l’espressione “extra Ecclesia nulla salus” e ha allentato il legame tra salvezza e battesimo: basta che ognuno segua la propria coscienza! Per non dire di un velato sincretismo che ha penetrato la coscienza di molti credenti, per i quali seguiamo tutti l’unico Dio, seppur in forme diverse, sostanzialmente equivalenti e non valutabili.

 

  1. La missione cristiana rigenera la Chiesa

Siamo alle considerazioni conclusive dove intrecciamo le difficoltà/sfide lanciate alle comunità cristiane, che vivono da minoranze in contesti pluralistici, talvolta accomunate ad altre formazioni religiose e screditate come possibili generatrici di violenza o, comunque, a stento riconosciute, con la nostra esperienza di collegialità che costituisce un segmento della sinodalità ecclesiale. Ritengo che la situazione delle Chiese in Europa sia simile a quella storicamente minoritaria di altri Paesi del Mediterraneo. Intendo dire che non si può più rispondere alla situazione europea qualitativamente nuova con una strategia di ricristianizzazione o di conservazione e contenimento, «ma solo nel quadro di una visione missionaria comparabile alla fondazione delle comunità cristiane scaturite dal paganesimo»[19]; occorre cioè riscoprire una dinamica di vera e propria ecclesiogenesi. Questi nostri incontri li interpreterei nel solco della sinodalità che favorisce in noi la consapevolezza e, in qualche modo, già realizza la dinamica di una nuova genesi della Chiesa. La diversa situazione nella quale versano le nostre Chiese ci può arricchire vicendevolmente se troviamo il giusto equilibrio di un continuo scambio fraterno.

La sinodalità ci incammina sulla via dello spiazzamento, come spiazzante, se non scandalosa, è la passione di Cristo, via unica che consente un vero cammino sinodale, necessario alla riforma della Chiesa: «La riforma della Chiesa poi – e la Chiesa è semper reformanda – è aliena dal pelagianesimo. Essa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività»[20]. Il cammino della sinodalità, che «è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio»[21], è il modo suggerito dal Pontefice per porre in essere pienamente la visione ecclesiologica sviluppatasi nell’evento conciliare.

Riprendiamo Ad Gentes quando descrive l’effettiva azione missionaria di predicazione del Vangelo e di impiantazione della Chiesa, per ritrovarvi utili orientamenti. Anzitutto il decreto menziona l’innesto di questa azione nel movimento di Cristo medesimo: «La Chiesa per essere in grado di offrire a tutti il mistero della salvezza e la vita che Dio ha portato all’uomo, deve cercare di inserirsi in tutti questi raggruppamenti con lo stesso movimento con cui Cristo stesso, attraverso la sua incarnazione, si legò a quel certo ambiente socio-culturale degli uomini in mezzo ai quali visse» (n. 10). Questo inserimento non significa più soltanto l’inculturazione, ma il discernimento dei segni del tempo anche in contesti di antica cristianità e, ovunque, la capacità di costruire autentici legami di fraternità e collaborazione nella città degli uomini, secondo quello svuotamento di Cristo che giunge al dono “eccessivo” di sé.

Il punto di partenza, infatti, rimane la testimonianza di vita dei cristiani e il dialogo con tutti: «Tutti i cristiani infatti, dovunque vivano, sono tenuti a manifestare con l’esempio della loro vita e con la testimonianza della loro parola l’uomo nuovo, di cui sono stati rivestiti nel battesimo, e la forza dello Spirito Santo, da cui sono stati rinvigoriti nella cresima; sicché gli altri, vedendone le buone opere, glorifichino Dio Padre e comprendano più pienamente il significato genuino della vita umana e l’universale legame di solidarietà degli uomini tra loro» (n. 11). Questo “significato genuino della vita” è quella fiducia di fondo nella vita che richiamavamo sopra e che fonda l’esser cittadini/fratelli.

Segue l’annuncio della Parola, che è opera della grazia divina fin dall’apertura della sua possibilità: «Ovunque Dio apre una porta della parola per parlare del mistero del Cristo, ivi a tutti gli uomini, con franchezza e con perseveranza deve essere annunziato il Dio vivente e colui che egli ha inviato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo. Solo così i non cristiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo, crederanno e liberamente si convertiranno al Signore, e sinceramente aderiranno a colui che, essendo “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), risponde a tutte le attese del loro spirito, anzi le supera infinitamente» (n. 13). Quindi è descritto il processo di conversione e l’avvio al sacramento.

A questo punto, con un terzo passaggio, si descrive la formazione della comunità cristiana: «Lo Spirito Santo, che mediante il seme della parola e la predicazione del Vangelo chiama tutti gli uomini a Cristo e suscita nei loro cuori l’adesione alla fede, allorché rigenera a nuova vita in seno al fonte battesimale i credenti in Cristo, li raccoglie nell’unico popolo di Dio, che è “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione sacra, popolo di redenti”» (n. 15)[22]. Una formazione che parte dall’ampia base delle famiglie, delle scuole, delle associazioni, insistendo che i fedeli tutti siano perfettamente inseriti nel Paese che abitano. E «per il raggiungimento di questi obiettivi, vanno particolarmente curati i laici, cioè i fedeli che, incorporati per il battesimo a Cristo, vivono nel mondo. Tocca proprio a loro, penetrati dello Spirito di Cristo, agire come un fermento nelle realtà terrene, animandole dall’interno ed ordinandole in modo che siano sempre secondo il Cristo». Da ultimo, ma non ultimo, chiaramente «per la costituzione della Chiesa e lo sviluppo della comunità cristiana, sono necessari vari tipi di ministero», che sono regolarmente elencati a partire dal ministero ordinato.

Queste tappe possono esser comprese come idealmente tipiche, nell’interconnessione e nel loro condizionamento storico, per l’auspicato rinnovamento della Chiesa. «Per un’articolazione genetica della Chiesa in contesto missionario ne risultano le seguenti conseguenze. Fondamentalmente, si tratta oggi di valorizzare le prime due delle tre fasi … “la testimonianza cristiana” e “la predicazione del vangelo e la riunione del popolo di Dio”». Qui subentra una certa differenza tra le nostre diverse Chiese del Mediterraneo, perché, osserva Theobald, «in una “istituzione” chiesa ancora relativamente forte, esse rischiano di essere le vittime della terza fase, “l’organizzazione della comunità cristiana”, che comincia con la questione dei ministeri»[23]. Questo vale di certo per le Chiese in Europa; ma ciascuna delle nostre Chiese, nel dialogo che abbiamo iniziato e qui in prosecuzione, può apportare il proprio contributo di ricerca e di discernimento, rimanendo per tutti chiaro che siamo chiamati, tramite la sinodalità, a inserirci nella dinamica della fondazione della Chiesa; essa presuppone comunità locali forse più modeste ma con l’esperienza viva di Cristo risorto e con alcuni carismi, la predicazione del vangelo implicante il ministero e la presenza di cristiani nella vita sociale. D’altronde Ad Gentes già prevedeva che «Questo compito … è uno ed immutabile in ogni luogo ed in ogni situazione, anche se in base al variare delle circostanze non si esplica allo stesso modo. Le differenze quindi, che pur vanno tenute presenti in questa attività della Chiesa, non nascono dalla natura intrinseca della sua missione, ma solo dalle circostanze in cui la missione stessa si esplica» (n. 6).

Questa insistenza sulla missione che reimpianta la Chiesa può sembrare lontana dal tema che ci accingiamo a discutere, ma in vero mi sembra il cuore di quel che possiamo offrire da cristiani al Mediterraneo promuovendo la riscoperta della propria dignità ai milioni di uomini e donne ferite e offese e agli innumerevoli cadaveri sepolti in questo mare-cimitero, e a cercare di spegnere con la pace i mille focolai di violenza e guerra che in esso sono accesi. Se ritroviamo le profonde ragioni di essere Chiesa in Cristo, gli uomini e le donne di ogni tempo ritrovano la perla preziosa della loro esistenza terrena. Non obbediamo al mandato di Papa Francesco a Bari, che citava la ricostruzione di Gerusalemme? «Come mandato, vi consegno le parole del profeta Isaia, perché diano speranza e comunichino forza a voi e alle vostre rispettive comunità. Davanti alla desolazione di Gerusalemme a seguito dell’esilio, il profeta non cessa di intravedere un futuro di pace e prosperità: “Ricostruiranno le vecchie rovine, rialzeranno gli antichi ruderi, restaureranno le città desolate, devastate da più generazioni” (Is 61,4). Ecco l’opera che il Signore vi affida per questa amata area del Mediterraneo: ricostruire i legami che sono stati interrotti, rialzare le città distrutte dalla violenza, far fiorire un giardino laddove oggi ci sono terreni riarsi, infondere speranza a chi l’ha perduta ed esortare chi è chiuso in sé stesso a non temere il fratello. E guardare questo, che è già diventato cimitero, come un luogo di futura risurrezione di tutta l’area»[24].

 

 

[1] Civiltà e pace. Atti del primo Convegno internazionale per la pace e la civiltà cristiana, 23-28 giugno 1952, Tipografia L’Impronta, Firenze 1953, pp. 11-14, citato in G.G. Curcio (a cura di), Giorgio La Pira. Diplomazia, politica e pace nel Mediterraneo, Rubettino, Soveria Mannelli 2021, pp. 90-93.

[2] Si pensi al contrastato dibattito sulla secolarizzazione, sul quale si può vedere P. Costa, La città post-secolare. Il nuovo dibattito sulla secolarizzazione, Queriniana, Brescia 2019.

[3] Mediterraneo frontiera di pace. Raccolta dei documenti, degli interventi e dei contenuti finali dell’incontro di riflessione e spiritualità. Bari 19-23 febbraio 2020, Fondazione di Religione Santi Francesco e Caterina, Roma 2020, p. 86.

[4] Cf. P. Coda, Dalla Trinità. L’avvento di Dio tra storia e profezia, Città Nuova, Roma 2011, p. 66-68.

[5] Cf. P. Coda, Dalla Trinità, cit., p. 67.

[6] P. Coda, Dalla Trinità, cit., p. 68-69.

[7] Cf. P. Coda, Il Logos e il nulla. Trinità, religioni, mistica, Città Nuova, Roma 2003, parte III.

[8] C. Theobald, La fede nell’attuale contesto europeo. Cristianesimo come stile, Queriniana, Brescia 2021, p. 103.

[9] Mediterraneo frontiera di pace, p. 89-90.

[10] Discorso del Santo padre Francesco, Aula Nuova del Sinodo, 9 ottobre 2021: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2021/october/documents/20211009-apertura-camminosinodale.html .

[11] Discorso del Santo Padre, Firenze, 10 novembre 2015: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/november/documents/papa-francesco_20151110_firenze-convegno-chiesa-italiana.html .

[12] Discorso del Santo Padre, Firenze, 10 novembre 2015.

[13] Lumen Gentium 2.

[14] Cf. C. Theobald, La fede nellattuale contesto europeo, pp. 79-80; cf. anche LG 14-16.

[15] Gaudium et spes 22. È bene ricordare anche LG 16: «Quanto a quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, anch’essi in vari modi sono ordinati al popolo di Dio. In primo luogo quel popolo al quale furono-dati i testamenti e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la carne (cf. Rm 9, 4-5), popolo molto amato in ragione della elezione, a causa dei padri, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (cf. Rm 11, 28-29). Ma il disegno di salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in particolare i musulmani, i quali, professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso che giudicherà gli uomini nel giorno finale. Dio non è neppure lontano dagli altri che cercano il Dio ignoto nelle ombre e sotto le immagini, poiché egli dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa (cf. At 1, 7.25-26), e come Salvatore vuole che tutti gli uomini si salvino (cf. 1Tm 2, 4). Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, ma si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione ad accogliere il Vangelo e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita. Ma molto spesso gli uomini, ingannati dal maligno, hanno errato nei loro ragionamenti e hanno scambiato la verità divina con la menzogna, servendo la creatura piuttosto che il Creatore (cf. Rm 1, 21.25), oppure, vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale. Perciò la Chiesa per promuovere la gloria di Dio e la salute di tutti costoro, memore del comando del Signore che dice: “Predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 15), mette ogni cura nell’incoraggiare e sostenere le missioni».

[16] LG 14.

[17] Cf. P. Coda, Dalla Trinità. L’avvento di Dio tra storia e profezia, cit., p. 64.

[18] Cf. La fede nellattuale contesto europeo, cit., p. 84.

[19] Cf. La fede nellattuale contesto europeo, cit., p. 224.

[20] Discorso del Santo Padre, Firenze, 10 novembre 2015.

[21] Commemorazione del 50° Anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi. Discorso del Santo Padre Francesco, Aula Paolo VI, 17 ottobre 2015: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/october/documents/papa-francesco_20151017_50-anniversario-sinodo.html .

[22] AG 15: «Perciò i missionari, come cooperatori di Dio, devono dar vita a comunità di fedeli che, seguendo una condotta degna della vocazione alla quale sono state chiamate, siano tali da esercitare quella triplice funzione sacerdotale, profetica e regale che Dio ha loro affidata. In questo modo la comunità cristiana diventa segno della presenza divina nel mondo: nel sacrificio eucaristico, infatti, essa passa incessantemente al Padre in unione con il Cristo, zelantemente alimentata con la parola di Dio rende testimonianza al Cristo e segue la via della carità, ricca com’è di spirito apostolico».

[23] La fede nell’attuale contesto europeo, p. 229-230.

[24] Mediterraneo frontiera di pace, p. 90.