Bari, 20 febbraio 2020
Cei, Conferenza Episcopale Italiana
"Mediterraneo frontiera di pace"
La relazione della prof.ssa Giuseppina De Simone

Nel Mediterraneo frutti da maturare

Una Chiesa bella, operosa: al lavoro a favore dei popoli. Questa è la Chiesa che si è vista a Bari dal 19 al 23 febbraio scorso in occasione dell’incontro intitolato «Mediterraneo, frontiera di pace» al quale hanno partecipato cinquantotto vescovi in rappresentanza delle conferenze episcopali dei diciannove paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Non è stato un evento di circostanza, né un convegno accademico, né un summit politico: promosso dalla Cei, su iniziativa del presidente, il cardinale Gualtiero Bassetti, è stato un incontro tra pastori desiderosi di confrontarsi, condividere esperienze, individuare prospettive comuni e soluzioni utili ad assicurare un futuro buono agli uomini e alle donne del Mediterraneo che sentono affidati alle loro cure. A Bari si è lavorato su diversi temi intra ed extra ecclesiali considerati rilevanti e urgenti: a esempio, la trasmissione della fede alle giovani generazioni, le migrazioni, il dialogo interreligioso, il rapporto delle comunità cattoliche con le istituzioni civili, le pesanti disuguaglianze economiche e sociali che si riscontrano nei diversi paesi. Di questo incontro, destinato a non restare un unicum, dialoga con «L’Osservatore Romano» monsignor Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, vice presidente della Conferenza episcopale italiana e coordinatore del Comitato scientifico organizzatore dell’appuntamento in terra pugliese.

Il 23 febbraio scorso Papa Francesco è venuto a Bari e ha concluso il vostro incontro con un ampio discorso e con la celebrazione eucaristica. A voi vescovi ha consegnato, come mandato, le parole del profeta Isaia (Isaia, 61, 4) e ha detto: «Ecco l’opera che il Signore vi affida per questa amata area del Mediterraneo: ricostruire i legami che sono stati interrotti, rialzare le città distrutte dalla violenza, far fiorire un giardino laddove oggi ci sono terreni riarsi, infondere speranza a chi l’ha perduta ed esortare chi è chiuso in se stesso a non temere il fratello».

Con il suo ricco e articolato discorso il Pontefice ha mostrato di sostenere e condividere le ragioni che ci avevano spinto a promuovere questa iniziativa e gli obiettivi che ci eravamo posti. Dalle sue parole ho compreso che la cura dei popoli del Mediterraneo, l’impegno per l’edificazione della pace, della fraternità e della riconciliazione in quest’area del mondo si iscrivono bene nella missione della Chiesa cattolica per la quale Papa Francesco si sta spendendo in questi anni.

Quali frutti ritiene abbia già portato l’incontro? Molti vescovi in procinto di partire per Bari si erano detti particolarmente lieti di potersi riunire per la prima volta tutti insieme, di condividere esperienze, riflessioni, proposte, di ricevere e offrire parole di incoraggiamento.

L’incontro ha rafforzato lo spirito di fraternità tra noi vescovi: e questo rappresenta, a mio giudizio, un primo, significativo frutto. Tutti erano contenti di poter stare insieme, conoscersi meglio, confrontarsi. Tutti desideravano raccontare le sofferenze delle loro Chiese e, allo stesso tempo, erano pronti a portare i pesi degli altri. In questo momento storico ogni Chiesa del Mediterraneo soffre. Le ragioni variano: a causare patimenti, a seconda dei casi, sono la guerra o le massicce migrazioni o l’avanzare del secolarismo o le pesanti disuguaglianze economiche. Vi è poi un secondo frutto: alla fine dei lavori i vescovi sono stati concordi nel ritenere che le giornate di Bari non dovessero restare un unicum. Alla Chiesa italiana è stato affidato il compito di studiare i nuovi, futuri passi di un processo, un cammino che dovrà dispiegarsi nel tempo e coinvolgere anche le comunità cattoliche affinché siano lievito nella pasta.

Avete già stabilito come procedere?

Anzitutto sono state scelte le persone: il cardinale Bassetti ha deciso che il gruppo di lavoro della Cei nato nel 2019 per organizzare l’incontro continuerà a occuparsi della tematica mediterranea e a studiare i prossimi passi. Ci si è poi interrogati sul metodo di lavoro da seguire ed è stato deciso di costituire un gruppo composto da uno o due vescovi rappresentanti delle quattro macro aree del Mediterraneo: europea, balcanica, nordafricana, mediorientale. Questo gruppo ristretto, del quale anch’io faccio parte insieme al cardinale Bassetti, si riunirà via web dopo il tempo natalizio. Intendiamo elaborare alcune proposte da sottoporre poi all’attenzione di tutti gli altri vescovi. Bisogna rafforzare i legami tra le Chiese e per questo riteniamo sia necessario promuovere diverse forme di aiuto: penso, a esempio, a gemellaggi tra le diocesi, a scambi di sacerdoti e seminaristi dei diversi paesi, a progetti di sostegno alle popolazioni attraverso le Caritas, a percorsi didattici per i giovani che vogliono studiare in un paese mediterraneo diverso da quello di origine. Per poter articolare bene queste iniziative la Conferenza episcopale ha deciso di verificare se alcune di esse sono già state in vario modo promosse nelle diocesi italiane: vogliamo conoscere i progetti esistenti per capire come sostenerli, rafforzarli o modificarli.

Fra le iniziative che vi apprestate ad avviare, quali, a suo giudizio, sono irrinunciabili?

Direi quelle dedicate all’educazione delle giovani generazioni. Sarebbe veramente utile creare opportunità di studio e pensare a percorsi didattici qualificanti, capaci di preparare uomini e donne a diventare operatori di pace, costruttori di bene e di fraternità. La Chiesa cattolica, anche in Africa e Medio Oriente, ha scuole molto quotate e apprezzate dalle popolazioni locali: occorre coinvolgerle in questo progetto educativo. Allo stesso tempo, pensando a quanto poco venga tenuta in considerazione l’area mediterranea, è indispensabile lavorare sul piano culturale.

In che modo avete deciso di operare su quest’ultimo specifico fronte?

Anzitutto vorremmo conoscere bene gli studi che si stanno compiendo in Italia sulle problematiche del Mediterraneo e stiamo verificando quali centri universitari cattolici se ne occupano. Nonostante le molteplici differenze, divisioni, contrapposizioni succedutesi nel corso dei secoli e presenti anche oggi, la regione mediterranea ha una propria identità, seppure in continua evoluzione. Nella nostra epoca, tuttavia, la cultura dominante induce i popoli del Mare nostrum a percepirsi come appartenenti a una nazione o a un continente o a una istituzione sovranazionale (l’Unione europea o l’Unione africana) ma non a pensarsi come appartenenti all’area mediterranea. Noi siamo convinti che per edificare pace, giustizia e riconciliazione sia invece decisivo guardare la realtà anche dalla prospettiva mediterranea, sino a oggi giudicata irrilevante. Ecco perché riteniamo strategico lavorare sul piano culturale, far circolare idee buone, destare nelle popolazioni il senso di appartenenza alla regione mediterranea. Se manca questa dimensione le altre iniziative rischiano di non incidere come potrebbero.

C’è un episodio occorso durante le giornate di Bari che lei giudica promettente in relazione agli obiettivi dell’incontro?

Sì. Monsignor Francesco Cacucci, che a quel tempo guidava l’arcidiocesi di Bari-Bitonto, aveva proposto ai vescovi di recarsi una sera, a due a due, nelle parrocchie della città per incontrare i fedeli e condividere con loro la cena, alcune riflessioni e un momento di preghiera. Nella sera prefissata io dovetti lavorare ai documenti finali e restai in albergo. Il mattino dopo mi accorsi che i miei confratelli erano euforici: quando ne chiesi la ragione mi raccontarono in termini entusiastici la serata trascorsa con i fedeli, i quali — a loro volta — avevano manifestato letizia grande per questo appuntamento e auspicavano ulteriori incontri. Certo, è un piccolo episodio, ma lo reputo promettente poiché testimonia che le persone sono pronte a farsi coinvolgere, ad aprire lo sguardo, a non restare concentrate sul loro piccolo orticello. Bisogna seminare e continuare a farlo: lietamente, con serietà e umiltà.

Cristina Uguccioni