Intervento del Cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, al convegno “La Nostra Europa” (Roma, 30 novembre 2018)
Mai come oggi, quando le voci critiche sembrano essere sempre più numerose, è necessario rimarcare con vigore l’importanza religiosa, culturale e politica dell’Europa unita. Magari con basi nuove, ma unita. La parola unità, ovviamente, non va mai confusa con la ricerca di un unanimismo ipocrita o con l’imposizione dall’alto di un’unione coatta. L’unità è invece la massima espressione di un corpo vivo in cui ogni persona è parte di un tutto e si riconosce organicamente in questo corpo. In altre parole, l’unità è tale solo se è veramente volta alla ricerca del bene comune e se è realmente espressione di una volontà popolare che affonda le sue radici in un passato comune.
L’unità religiosa e culturale
Uno degli aspetti più rilevanti di ogni riflessione sull’Europa riguarda il deposito storico, religioso e culturale del continente: ovvero quel complesso patrimonio sociale e simbolico che Paolo VI chiamava «l’anima dell’Europa». La nostra cara Europa ha bisogno di riscoprire quest’anima che affonda le sue radici profonde nel messaggio di amore e di gioia annunciato al mondo intero dal Vangelo. Ancora oggi c’è bisogno di una rinnovata evangelizzazione e di una fede autentica che serva a risvegliare quegli uomini e quelle donne che sono spenti nello spirito, e doni speranza a quelle persone che si sentono sfiduciate a causa della sofferenza, della povertà e della solitudine.
Paolo VI, durante il suo pontificato, quando parlava dell’Europa faceva sempre riferimento alla necessità di perseverare nella costruzione di uno spazio di incontro europeo. Uno spazio che doveva essere, nelle sue intenzioni, un luogo di pace e di solidarietà. Purtroppo, proprio negli anni del pontificato di Montini e ancor più in seguito, nonostante l’impegno vigoroso di Giovanni Paolo II, l’Europa ha iniziato a rifiutare se stessa. E lo ha fatto abbracciando un umanesimo ateo che sembrava calarsi drammaticamente alla perfezione nei nuovi abiti della modernità.
Tutto questo, però, al di là delle apparenze si è rivelato un vicolo cieco. E noi oggi lo vediamo molto bene. Al benessere materiale, alla ricchezza sempre maggiore, ha corrisposto la diffusione di un nichilismo gaudente e individualista. L’Europa come luogo di incontro e come comunità solidale si è trasformata in un luogo popolato da individui che sembrano non parlare più lo stesso codice morale.
Questo stato di smarrimento, oggi, genera paura e angosce collettive. Paura di vivere in una società senza identità, sempre più complessa e plurale. Paura dell’altro perché non lo si riconosce più come un nostro simile. Paura soprattutto nei confronti del forestiero. Che non solo è costretto a vivere come un apolide in terra straniera ma che, sempre più spesso, è diventato una sorta di capro espiatorio di tutti i mali della nostra società. Paura che nasce – lo dico con una sintesi estrema – anche dall’aver smarrito la conoscenza delle proprie radici sociali e culturali. Non casualmente, papa Francesco, quando ritirò il premio Carlo Magno nel 2016, invitò l’Europa a ritrovare «se stessa». Sono parole semplici ma fondamentali. Che riprendono, tra l’altro, un magistero pontificio ricchissimo di sollecitazioni, ancora in parte inesplorato. Personalmente sogno una nuova Europa solidale che sappia essere veramente una casa comune – e non solo un insieme di strutture – e che si fondi su un nuovo umanesimo europeo.
Come ha detto Francesco, penso che sia «giunta l’ora» di costruire insieme un’Europa che non ruoti soltanto «intorno all’economia» ma che si basi sulla «sacralità della persona umana» e sulla sua incalpestabile dignità. Un’Europa che, in altre parole, sappia abbracciare «con coraggio il suo passato», possa guardare «con fiducia» al futuro e sappia vivere «con speranza il suo presente». In definitiva, è «giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su se stessa» per suscitare e promuovere nella società un’idea di Europa che sappia essere «portatrice di fede», messaggera di pace e, soprattutto, possa essere un «prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità!»[1]. Mi permetto di sintetizzare questo pensiero del Papa con tre parole che delineano, meglio di altre, l’unità religiosa e culturale dell’Europa: persona, carità e cultura.
L’unità tra l’Italia e l’Europa
Un altro elemento di grande importanza è il rapporto tra l’Italia e l’Europa. Papa Francesco, come è noto, auspica con grande vigore una «Chiesa in uscita»: una Chiesa dinamica, inclusiva verso i poveri e che sappia assumere, esistenzialmente, uno sguardo giovane sul mondo. L’Italia e l’Europa hanno fortemente bisogno di questo pensiero giovane, capace di proporre soluzioni innovative e coraggiose per risolvere i grandi problemi che affliggono il continente ormai da molti anni. Mai come oggi, c’è un urgente bisogno di nuove energie morali che sappiano superare la stanchezza di una società invecchiata e rinunciataria, e soprattutto c’è l’evidente necessità di cuori giovani, capaci di passione e di sacrificio, che abbiano l’ardore di pagare il prezzo alto della verità.
L’Italia ha un bisogno forte dell’Europa e l’Europa ha una necessità vitale dell’Italia. Non credo che nessuno ci guadagnerebbe da un ipotetico distacco. Un distacco che, tra l’altro, da un punto di vista storico, geografico, spirituale e culturale non ha alcuna ragion d’essere. Si può ovviamente discutere sulle modalità di vivere insieme, criticare ciò che è stato fatto finora e, perfino, proporre nuove forme di convivenza sociale e politica. Tuttavia, non si può dimenticare il rapporto storico che esiste tra l’Italia e l’Europa. L’Italia e l’Europa, infatti, hanno un cammino comune millenario che preesiste al processo di unità politica degli ultimi decenni. E oggi, di fronte allo spostamento del baricentro del mondo sempre più lontano dal vecchio continente, è assolutamente necessario rilanciare un progetto europeo in cui l’Italia possa svolgere un ruolo da attore protagonista. Rilanciare significa anche rivedere, migliorare, riformare: non distruggere.
A questo proposito vorrei ricordare le parole di un grande italiano del passato, Alcide De Gasperi che, nel 1954, in un celebre discorso a Parigi, sostenne con forza la necessità di riconoscere la «nostra patria Europa». Una patria europea in cui deve essere assicurata la pace, il progresso e la giustizia sociale, e dove «i popoli che si uniscono, spogliandosi delle scorie egoistiche della loro crescita, debbono elevarsi anche a un più fecondo senso di giustizia verso i deboli e i perseguitati».
Parole di grande significato, pronunciate da uno dei più grandi statisti italiani, su cui invito tutti a riflettere profondamente.
L’unità politica dell’Europa
E infine, un aspetto di grande importanza è l’unità politica dell’Europa. Un’unità che possiede le radici antiche di sant’Agostino, Carlo Magno e papa Pio II ma che detiene, al tempo stesso, le prospettive future di una comunità che non potrà non essere aperta, solidale e soprattutto in pace. La posta in gioco è altissima. La guerra è una pagina sanguinosa che la vecchia Europa ha conosciuto in un passato recente. Due conflitti mondiali che hanno prodotto milioni di morti e che, come drammaticamente disse Benedetto XV nel 1916, avrebbero potuto portare «al suicidio dell’Europa».
Ci sono pagine importanti del magistero pontificio sull’Europa che andrebbero meditate con grande attenzione. Tutti questi documenti portano, infatti, verso un’unica direzione: l’Europa come famiglia di famiglie, come luogo di solidarietà e carità, come comunità di popoli in pace che supera gli egoismi e i rancori nazionali. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno: un’Europa unita, pacificata e solidale, che non speculi sui conflitti sociali e sulle divisioni politiche, che non pratichi l’incultura della paura e della xenofobia, ma che costruisca, con animo puro, la cultura della solidarietà per un nuovo sviluppo della promozione umana.
Lo sviluppo della promozione umana e il rischio della xenofobia richiamano ovviamente la grande questione della gestione dei flussi migratori. Si tratta di un tema delicatissimo su cui ho parlato spesso. E ripeto quello che ho sempre detto in questi anni: in primo luogo, serve un’azione coordinata a livello internazionale nel gestire un fenomeno complesso e drammatico. Su questo punto è fondamentale il ruolo dell’Europa, perché se vincono i singoli egoismi nazionali, non c’è Europa che tenga. L’innalzamento dei muri è da un lato il triste epilogo di chi non sa dare una risposta e quindi preferisce chiudere gli occhi; e dall’altro lato, è un tragico avvertimento per quello che potrebbe accadere in futuro.
In secondo luogo, come ho sempre auspicato, bisogna coniugare carità e responsabilità nel gestire i flussi e nell’accoglienza dei migranti. La «carità è paziente» e «benigna» diceva san Paolo. Occorre quindi essere prudenti senza correre il rischio di alimentare le paure o, ancor peggio, di lasciar scoppiare una «guerra tra poveri» nelle periferie delle nostre città. Siamo di fronte, dunque, ad una grande sfida per l’Europa e per i singoli Paesi: servono idee e progetti, discernimento cristiano e spirito missionario. Occorre, soprattutto, la grande Politica, quella con la «P» maiuscola a cui faceva riferimento La Pira.
Ciò che serve non è la divisione o la frammentazione, ma l’unità. Ciò che serve, infatti, non è la fine dell’Europa ma, al contrario, una nuova Europa: un’Europa popolare, che applichi i principi della solidarietà e della sussidiarietà, attenta ai bisogni dei cittadini e rispettosa delle culture, delle fedi e delle identità. Un’Europa autenticamente politica e non solo economica.
Per questo motivo, è necessario lo sviluppo di una nuova «sensibilità europea». Ancor prima di un’elaborazione politica dei singoli Stati, è di cruciale importanza sviluppare un nuovo ethos continentale che, partendo dalla valorizzazione della propria anima storica, sappia sviluppare una cultura della carità e dell’incontro. Una cultura nuova che si fondi su basi antiche e da cui possa nascere un’Europa ancora più viva, coesa e forte.
L’Europa è stata per secoli il centro del mondo: il cuore del potere politico-militare mondiale ma anche il centro di maggiore importanza religiosa e culturale. Oggi – e non da oggi – l’Europa non svolge più questo ruolo politico nel mondo. Tuttavia, può ancora esercitare una sorta di leadership morale globale, sul piano della proposta culturale e sociale. Le grandi sfide internazionali come le migrazioni, per esempio, ci pongono davanti ad un bivio: o ci chiudiamo a riccio oppure rilanciamo con una nuova proposta che magari possa fare da modello al mondo intero.
Io sono assolutamente convinto che sia doveroso percorrere la seconda opzione. Come Chiesa italiana, infatti, abbiamo proposto una grande assise sul Mediterraneo. Per attuare un simile progetto, però, occorre avere fede, speranza e carità. Ed è necessario, soprattutto, non avere paura. Perché, come ho già detto in passato, «chi ha paura non ha futuro»[2].
Papa Francesco ha dichiarato che sogna «un’Europa giovane, capace di essere ancora madre». E circa un anno dopo, in occasione delle celebrazioni del 60° anniversario dei Trattati di Roma, ha sottolineato che occorre «investire nella vita, nella famiglia, nei giovani»[3]. Queste parole contengono un forte incoraggiamento a guardare al futuro, senza perdere la speranza. Facciamone tesoro e soprattutto buon uso. Non possiamo permettere che un vento grigio di paura, rancore e xenofobia soffi sulla nostra cara Europa. Torniamo a far risplendere sul cielo dell’Europa una luce di pace, concordia e solidarietà. Perché quella luce non è altro che la luce di Cristo.
Card. Gualtiero Bassetti
Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e Presidente della Cei
[1] Cfr. Francesco, Discorso per il conferimento del premio Carlo Magno, 6 maggio 2016. Id., Discorso al Parlamento Europeo, 25 novembre 2014.
[2] Cfr. G. Bassetti, Chi ha paura non ha futuro, in «L’Osservatore Romano», 22 luglio 2016.
[3] Cfr. Francesco, Discorso per il conferimento del premio Carlo Magno, 6 maggio 2016. Id., Discorso ai capi di stato e di governo dell’Unione Europea, in occasione del 60° anniversario della firma dei Trattati di Roma, 24 marzo 2017.