Vaticano, 9 aprile 2021.
Papa Francesco incontra Mons. Jean-Marc Aveline, Arcivescovo di Marseille

Ecco perché la Chiesa ha bisogno di un Sinodo sul Mediterraneo

Le visite del Papa a Lampedusa e nell’isola di Lesbo. Poi l’incontro religioso a Bari per la pace in Medio Oriente. Ancora: la tappa a Napoli per parlare di teologia del Mediterraneo. E lo scorso anno ancora a Bari per chiudere l’incontro dei vescovi del bacino radunati dalla Cei per la prima volta nella storia. «Siamo davanti a un “pellegrinaggio mediterraneo” di papa Francesco che, insieme con il processo iniziato grazie all’appuntamento di noi vescovi in terra pugliese, rivela come il Mediterraneo possa parlare a tutta la Chiesa e abbia singolari specificità che richiedano un approfondimento teologico, pastorale e missionario», spiega l’arcivescovo di Marsiglia, Jean-Marc Aveline. Ed è raccogliendo questi spunti che il presule ha lanciato al Papa un’idea durante l’udienza privata che ha avuto qualche settimana fa in Vaticano. «Ho presentato al Pontefice l’ipotesi di un Sinodo dei vescovi sul Mediterraneo, visto che di recente Francesco ne ha voluto uno per l’Amazzonia», racconta l’arcivescovo ad Avvenire.

Nato in Algeria 62 anni fa, considerato particolarmente vicino a Bergoglio e alle sue sensibilità pastorali, scelto proprio da Francesco nel 2019 per guidare una Chiesa di frontiera come quella di Marsiglia, Jean-Marc Aveline è stato anche uno dei pastori che lo scorso anno ha più apprezzato il G20 ecclesiale di Bari. «Durante le giornate di confronto sono emerse come priorità l’ecumenismo, l’emergenza umanitaria, il dialogo interreligioso ma anche il proficuo abbraccio tra Oriente e Occidente. Dietro queste dimensioni si profila la necessità di una riflessione ecclesiale. Perciò mi sembra che un processo sinodale sia il modo migliore per discernere ciò che lo Spirito chiede alle nostre comunità». E il presule francese ha partecipato al recente incontro online voluto dalla Cei che ha convocato alcuni vescovi del bacino per organizzare il nuovo summit sul Mediterraneo in programma a Firenze fra febbraio e marzo del 2022.

Eccellenza, al centro della sua udienza con Francesco c’è stato proprio il Mare Nostrum.

Ho vissuto l’incontro come un momento spirituale di discernimento durante il quale ho potuto sottoporre al Papa alcune intuizioni che avevo maturato. È stato un dialogo da pastore a pastore. E mi piace sottolineare quanto sia importante per un vescovo beneficiare di un tale sostegno paterno.

C’è bisogno di una «teologia del Mediterraneo»?

Viviamo intorno a questo mare “tra le terre” che rappresenta un peculiare anello di congiunzione tra Africa, Europa e Oriente e che è segnato da tradizioni di scambio, da un complesso cosmopolitismo che si tocca con mano sulle sue sponde, da ferite antiche e nuove. Tutto ciò appare come il punto di partenza di un progetto di teologia mediterranea. Un percorso che analizzi e testimoni come in questo angolo del mondo le fedi qui germogliate si siano formate dialogando tra loro, come l’essere umano abbia acquisito una definizione originale, come si sia sviluppato un fecondo incontro fra le culture, come le crisi umanitarie o ecologiche incidano anche sulle fondamenta della nostra vita spirituale. Di fatto nel Mediterraneo la teologia incontra sfide che interrogano la Chiesa e che per essere affrontate hanno bisogno di incontri regolari e relazioni costanti.

Marsiglia è porta per la Francia. Questo significa che il Papa potrà visitare la metropoli?

Perché no? L’invito è stato fatto. Penso che un viaggio del Papa a Marsiglia potrebbe essere l’occasione per parlare all’Europa da una delle sue periferie. In questo senso Marsiglia potrebbe costituire una tappa del suo pellegrinaggio mediterraneo.

La città di cui lei è vescovo è definita la più araba del continente. Secondo i dati ufficiali, un abitante su quattro è islamico. Poi ci sono minoranze ebraiche, armene o caldee. Può essere un laboratorio per la Chiesa del Mediterraneo?

Come ho avuto modo di dire a un gruppo di imam che, dopo l’attentato alla Basilica di Notre-Dame a Nizza, erano venuti a esprimerci la loro vicinanza, il modo migliore per promuovere l’accoglienza e il dialogo tra le religioni è agire insieme perché i fatti sono ben più efficaci delle parole. Così accade, ad esempio, che sacerdoti e imam distribuiscano l’uno accanto all’altro un pasto ai bisognosi sulle scale della nostra stazione ferroviaria. Si tratta di segni che scaldano i cuori e che aiutano ad approfondire le ragioni delle nostre fedi. Poi come non ricordare i tanti gesti di reciproca amicizia che ci legano ai nostri fratelli armeni oppure la gioia che proviamo nell’accogliere le comunità cristiane orientali, soprattutto caldee. Per loro abbiamo messo a disposizione le nostre chiese. Sono iniziative che possono essere un antidoto al pregiudizio e all’odio.

Marsiglia è la più povera città della Francia. Può la miseria essere terreno fertile per fondamentalismi e violenza?

In effetti le miserie e le frustrazioni sono come una miccia. E i demagoghi possono sfruttare questi malesseri. Prive di voce, molte persone svantaggiate corrono il pericolo di trovare nei radicalismi e nei populismi risposte a buon mercato. Inoltre rischiano di cadere preda di atroci traffici. Comunque noto che la povertà diffusa fa sbocciare straordinarie iniziative di carità e di sostegno che prolificano in città. Fanno meno rumore ma sono, grazie a Dio, molto significative. E ci dicono che è possibile promuovere la dignità di ogni persona risvegliando la fraternità. Questo è per me motivo di grande speranza.

 

Giacomo Gambassi

Da Avvenire del 6 luglio 2021