L’irrilevanza non è il destino dei cristiani. Non lo è neanche nel Mediterraneo del XXI secolo. Nel nostro tempo non possiamo rassegnarci all’insignificanza di una qualche funzione residuale di carattere decorativo o identitario o consolatorio. Abbiamo un grande compito. Siamo chiamati dall’annuncio del Vangelo a generare storia: «La vera speranza cristiana, che cerca il Regno escatologico, genera sempre storia». C’è sete di pace nel Mediterraneo ferito da troppi conflitti. La pace ha bisogno di dialogo e di amicizia, di costruire ponti e superare i muri della divisione e dell’odio. Oggi nel mondo globale, in un Mediterraneo abitato da donne e uomini disorientati e spesso dominati dalla paura, la speranza cristiana è un’urgenza e una responsabilità. Lo è davanti alle sfide di un cambiamento d’epoca che segna nel profondo le società mediterranee.
Queste sfide sono domande di fronte alle quali non si può restare tranquilli, tanto meno rassegnati o indifferenti. Occorre coltivare un’inquietudine che si faccia voce profetica e allo stesso tempo ricerca creativa e generosa di risposte evangeliche e concrete capaci di incidere nella realtà e di avviare processi di cambiamento. Infatti, «una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo». È il carattere sociale e storico del cristianesimo, che non viene meno nel mondo globale. L’esperienza cristiana delle nostre comunità non può restare senza conseguenze sociali.