«Il Covid ha allontanato sempre più le sponde del Mediterraneo». Ha la voce ferma ma preoccupata l’arcivescovo di Tunisi, Ilario Antoniazzi. Originario del Veneto, 73 anni, guida dal 2013 una Chiesa che è grande quanto l’intera Tunisia. «Ecco perché mi sento responsabile delle sofferenze di quasi dodici milioni di persone, tante ne conta il Paese. E qui si soffre molto in questi mesi». Prima di tutto per il coronavirus. «Siamo sull’orlo della catastrofe umanitaria», lancia l’allarme l’arcivescovo.
Sono almeno 150 i decessi ogni giorno. E la Tunisia è lo Stato africano con il più alto tasso di mortalità. Scarseggiano i respiratori e l’ossigeno negli ospedali che sono al collasso. «Per di più non abbiamo un ministro della sanità. Com’è possibile affrontare una situazione del genere?», denuncia Antoniazzi. E fa sapere: «La crisi sanitaria ha bloccato l’economia. Le possibilità di lavoro si riducono. Le aziende chiudono. Gli investimenti internazionali crollano. Il turismo che era una voce importante è stato azzerato. A tutto ciò si aggiunge il caos istituzionale…». Perché dallo scorso 25 luglio il presidente della Repubblica, Kais Saied, ha deposto l’intero governo e ha sospeso l’attività del Parlamento. «A distanza di tre settimane, c’è una calma che impressiona – racconta l’arcivescovo –. Il coprifuoco è stato accettato senza battere ciglio; non c’è una presenza massiccia di militari e polizia sulle strade; è possibile muoversi liberamente. Il vuoto di potere andrà colmato ma non sappiamo come. E la gente vive nel limbo».
Antoniazzi era stato uno dei sessanta vescovi che aveva partecipato all’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” che, per volontà della Cei, aveva riunito per la prima volta a Bari nel febbraio 2020 i pastori della regione. «È bene far conoscere le varie realtà del bacino, ciò che succede sulle diverse rive. Appena cento chilometri separano Tunisi dall’Italia. Se non ci fosse il mare, si pranzerebbe qui e si farebbe l’aperitivo in Sicilia. Eppure spesso non si ha la percezione di problemi, ingiustizie, dolori che segnano la vita lungo la sponda Sud».
Eccellenza, come vive il Paese il macigno del virus che lo sta mettendo in ginocchio?
Nel giorno del suo onomastico il Covid ha ucciso una nostra religiosa: si chiamava suor Maddalena e aveva 51 anni. Visitando gli ospedali, posso dire che stiamo attraversando uno dei momenti più bui della storia recente. I malati restano nei corridoi, senza letti; alcuni sono per terra; altri stazionano fuori dei nosocomi in attesa del loro turno per l’ossigeno… sempre che l’ossigeno ci sia. Tutto ciò è terribile, date le poche possibilità che abbiamo.
La comunità internazionale sta intervenendo per tendere la mano alla Tunisia. Qualcosa si muove…
Sì, grazie al cielo. Il Paese ha chiesto aiuto e adesso le risposte arrivano. L’Italia è in prima fila e anche in questi giorni ha inviato navi con bombole d’ossigeno e strumenti medicali che comunque non sono ancora sufficienti.
In Tunisia si muore troppo di Covid.
Qualcuno dice che il coronavirus abbia contagiato 5 milioni di persone, ossia quasi la metà della popolazione. Le autorità politiche non intervengono con la giusta severità. Anche per questo la gente non ha preso sul serio l’emergenza sanitaria. “Finché non mi tocca, il virus è un affare degli altri”, sembra essere il ritornello. Le mascherine ci sono, ma in pochi le indossano perché dicono: “Io sto bene”. Poi c’è il dramma nel dramma: se una famiglia ha un contagiato in casa, occorrerebbe fare il tampone all’intero nucleo familiare che in genere include almeno tre figli. Per sottoporre tutti al test serve l’equivalente di mille euro: una somma che nessuno può permettersi. Allora ci si ammala, si rimane fra le mura domestiche, si muore in una stanza. E, secondo le statistiche, il decesso è avvenuto per problemi respiratori, non per il Covid. Ecco perché alcuni medici sostengono che i dati governativi sulla pandemia vadano moltiplicati per tre.
Il Papa ha chiesto più volte vaccini per tutti, a cominciare dalle nazioni più fragili.
Giustissimo. Qui i vaccinati sono appena il 12% anche se qualcuno ritiene che ci fermiamo all’8%. Abbiamo i vaccini più disparati: dal cinese al russo, fino a quelli occidentali. Certo, la guerra dei vaccini è una questione politica.
Il virus ha diviso ancora di più il Mediterraneo?
Sicuramente. Ciò che succede in Tunisia, già economicamente meno appetibile di altri Stati vicini come il Marocco o l’Algeria, ne è la prova. In un Paese prostrato quale prospettiva hanno i giovani? Quella di partire. E verso dove? Verso l’Italia, verso Lampedusa, attraversando il Mediterraneo. La Tunisia non è un Paese in cui ci sono guerre e fame. Si fugge da un futuro che non esiste. Allora occorre sostenere soprattutto i giovani a rimanere. Aggiungo che certe frasi ripetute in Europa vengono lette qui in modo distorto. Mi riferisco ai numerosi appelli all’accoglienza che, nell’ottica africana, si traducono indirettamente in inviti a partire. Anche le mafie che prosperano sul traffico di esseri umani li sfruttano.
Di recente il Papa ha denunciato ancora una volta come il Mediterraneo sia ormai un «cimitero» dimenticato.
Quanti sbarcano a Lampedusa partono dalla Tunisia. Ma la maggioranza dei migranti provengono dall’area subsahariana. Non si tratta, quindi, solo di soccorrere la Tunisia ma di lanciare un “piano per l’Africa”. Il continente si sta svuotando di nuove leve. Questo rende l’Africa più povera. Mi diceva un vescovo amico che le grandi potenze stanno preparando una nuova colonizzazione del continente. Privando i nostri Paesi di energie fresche, come possiamo fare interventi importanti se non abbiamo le capacità e i cervelli? Siamo costretti a prenderli in prestito da fuori. E nessuno viene gratis.
Che cosa le Chiese sorelle possono fare per la comunità ecclesiale tunisina?
Siamo un piccolo gregge formato per lo più da fedeli subsahariani. Sono in genere studenti o migranti: gente che ha bisogno di aiuto. La Chiesa cerca di fare il possibile per accoglierli e anche per scongiurare che lascino il continente. Ad esempio, con la Caritas, finanziamo progetti e piccole iniziative imprenditoriali che assicurano una vita più che dignitosa nelle nostre zone. La Caritas italiana è al nostro fianco in modo permanente e ad essa, assieme a tutta la Chiesa italiana, va la nostra riconoscenza. Noi ci sentiamo una Chiesa viva, che non ha paura ed è aperta alle necessità di ogni fratello.
Il prossimo anno i vescovi del Mediterraneo torneranno a riunirsi a Firenze. Stavolta anche con i sindaci. Al centro il rapporto fra comunità ecclesiale e società.
È un’intuizione interessante. Ritengo che i primi cittadini possano dialogare con le nostre Chiese che qui in Maghreb, ad esempio, sono rispettate seppur all’interno di un preciso perimetro d’azione. Inoltre la Tunisia ha molte donne sindaco. Ed è il solo Paese islamico ad avere una donna alla guida dell’amministrazione municipale della capitale.
Giacomo Gambassi
Da Avvenire del 15 agosto 2021