Verso Firenze. In Libia il Natale dei cattolici è accanto ai migranti

Verso Firenze. In Libia il Natale dei cattolici è accanto ai migranti

È affollato a Tripoli il piccolo ufficio della Caritas accanto alla chiesa di San Francesco. Un presepe racconta fra le navate che il Natale è vicino. All’ingresso dello sportello d’aiuto premono donne e uomini giunti in Libia dal cuore dell’Africa. «Sono molti in questi giorni i migranti che si rivolgono a noi. Arrivano dal Sudan o dall’Eritrea e sono già registrati come rifugiati o richiedenti asilo», racconta il vescovo George Bugeja, vicariato apostolico di Tripoli. Frate minore francescano, è da quattro anni nel Paese ancora piegato dalla guerra civile che almeno sulla carta dovrebbe essere un capitolo chiuso. «Coloro che vengono qui alla Caritas ci chiedono di intervenire con l’Unhcr per avere la possibilità di lasciare la Libia al più presto e approdare in una nazione dove iniziare un nuova vita – spiega il vescovo –. Fra loro ci sono numerosi bambini e la situazione che vivono è veramente precaria». Con un braccio monsignor Bugeja indica nella direzione dove si trova il Community Day Centre, il Centro comunitario diurno dell’agenzia delle Nazioni Unite. «Sono in duemila ad essere accampati fuori della struttura. Vogliono che il loro grido disperato sia ascoltato e il quadro rischia di deteriorarsi. Ecco perché ringrazio il Papa per i suoi interventi a favore dei migranti in Libia: in uno dei più recenti si è appellato al cuore di quanti hanno responsabilità di governo per inviarli a costruire ponti e non muri».

Sarà quindi un Natale nel segno dell’accoglienza per la comunità cattolica di Tripoli che ha come riferimenti, oltre al vicario apostolico, soltanto poche suore e qualche frate. «Decliniamo nel quotidiano lo spirito della solennità dell’Incarnazione che ci chiama ad aprirci al Signore che mostra il suo volto anche nel sofferente», sottolinea il vescovo. Lungo le strade si sente la brezza del Mediterraneo: il mare si trova a duecento metri dalla chiesa che funge anche da Cattedrale da quando quella “storica”, edificata negli anni Venti, è stata trasformata in moschea nel 1970.

«Certo, qui il Natale sarà una giornata come le altre. Ma quest’anno celebreremo la festa in un clima differente. Perché, se verrà rispettato quanto stabilito e non ci saranno cambiamenti, il 24 dicembre si terranno le elezioni democratiche. Auspichiamo che tutto vada per il meglio e non ci siano eccessive tensioni». Il vicariato apostolico ha dato la sua adesione per partecipare all’Incontro dei vescovi del Mediterraneo per la pace che si terrà a Firenze dal 23 al 27 febbraio e che sarà affiancato dal forum di cento sindaci delle città del bacino. «Confido di poter esserci – annuncia –: sempre che non ci siano ulteriori scossoni istituzionali e che il Covid non blocchi gli spostamenti».

Eccellenza, come si vive il Natale in un Paese musulmano e soprattutto ferito dagli scontri iniziati nel 2011 che poi hanno aperto le porte a sei anni di conflitto armato?

Tutti ci auguriamo che la guerra sia ormai acqua passata. Festeggeremo la nascita del Redentore in chiesa, strettamente in chiesa. Accanto alle celebrazioni liturgiche, abbiamo previsto una serata di canti natalizi e uno spettacolo preparato dai bambini del catechismo con la consegna dei regali da parte da Babbo Natale.

In Libia la comunità ecclesiale è piccolissima: 15mila cattolici su una popolazione di oltre 6 milioni di abitanti. E “parla” straniero. Una Chiesa nascosta?

Non direi nascosta. Siamo una Chiesa formata da lavoratori arrivati dall’estero e da migranti. Una buona parte dei fedeli è originaria delle Filippine: si tratta per lo più di donne impegnate come infermiere negli ospedali o nelle cliniche private ma anche che hanno incarichi di docente all’università o nelle scuole. Gli uomini, invece, hanno in genere un contratto di lavoro con le compagnie petrolifere o altre realtà economiche. Poi ci sono i gruppi dall’India, dal Pakistan, dall’Italia e da Malta. Comunque qui la maggioranza dei cattolici proviene dall’Africa. I più numerosi sono nativi della Nigeria, ma anche del Sud Sudan, del Togo o del Benin. Non ci sentiamo in pericolo, nessuno ci infastidisce. Godiamo di quella libertà necessaria a vivere un’esperienza di fede: basta che tutto si svolga entro il perimetro della chiesa.

Si avvicinano le elezioni: attese ma considerate in bilico. Che cosa aspettarsi?

La strada verso la stabilità non è facile nonostante il voto. La situazione può cambiare da un giorno all’altro. Sarebbe presuntuoso dire che cosa accadrà. Però le elezioni costituiscono un grande passo in avanti. Sono essenziali se il Paese intende continuare a camminare nella giusta direzione: non solo i libici potranno scegliere i loro rappresentanti in modo democratico, cosa finora preclusa, ma sarà un’opportunità per far ripartire l’economia e per stringere intese con altri Stati del Mediterraneo così da affrontare insieme questioni complesse, inclusa quella dei migranti.

Il Mediterraneo è «un freddo cimitero senza lapidi», ha detto il papa Francesco a Lesbo invitando a fermare il «naufragio di civiltà».

Per evitare queste tragedie si deve provare ad andare alla radice del fenomeno e chiedersi: perché si lascia la propria terra rischiando anche la vita? La risposta non è facile. Per questo vanno poste le condizioni affinché si possa avere un’esistenza migliore nei Paesi d’origine scommettendo su educazione, lavoro, eliminazione della miseria. Tutto questo limiterà le partenze. Sarebbe bene che i governi sia dell’Africa, sia dell’Occidente, a partire dall’Europa, mettessero a punto un piano solido e pratico per la crescita del continente africano.

In Libia vige il cessate il fuoco dall’agosto 2020. C’è davvero pace?

La pace è una realtà e lo dimostra anche il fatto che a Tripoli hanno riaperto diverse ambasciate europee. Come Chiesa attendiamo che riapra la nunziatura apostolica il cui edificio è già stato costruito ma finora mai utilizzato. Naturalmente qualche inquietudine si registra anche legata alle elezioni. Ma, a Dio piacendo, se la Libia avrà un presidente e governo stabile accettato da tutti, sarà a una svolta. Speriamo e preghiamo.

Nel Paese sono ancora presenti mercenari di Russia e Turchia.

Della questione sta discutendo il Comitato militare 5+5 sia con la Turchia sia con la Russia per trovare una soluzione che sia accettata da ogni parte in causa.

La Chiesa nel Nord Africa è segnata dalle persecuzioni e dal martirio.

È una Chiesa che vive la sua vocazione.

Teme nuovi attacchi di cellule terroristiche?

No. È una cosa del passato e auspico per il bene di tutta la nazione che i controlli e la vigilanza siano costanti.

Nell’incontro dei vescovi a Firenze si parlerà del rapporto fra Chiesa, società e istituzioni politiche. C’è libertà in Libia?

Diritti e doveri sono responsabilità di ciascuno di noi. Tante volte parliamo di nostri diritti e ma dimentichiamo i doveri verso gli altri, verso lo Stato, verso Dio.

Come leggere il nuovo G20 ecclesiale per la pace nel Mediterraneo?

È un ulteriore tassello che viene posto per provare a capire insieme come rapportarsi con quanto avviene nell’area. A Firenze assieme a noi vescovi ci saranno anche i sindaci di vari Paesi. L’incontro, che avrà il sigillo di papa Francesco con la sua presenza nell’ultima giornata, ci aiuterà a proseguire nella riflessione già intrapresa a Bari che ha l’intento di porre le basi per costruire relazioni fraterne e promuovere un processo d’integrazione diffuso, mostrando che il bacino può essere un esempio di unità per il mondo e non soltanto un luogo di divisione.

Giacomo Gambassi

Da Avvenire del 18 dicembre 2021