L’omelia del Card. Bassetti

L’omelia del Card. Bassetti

Pubblichiamo l’omelia del Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, alla Santa Messa che conclude l’Incontro di Vescovi delegati e Sindaci delle città del Mediterraneo.

 

Anche oggi – in questa domenica segnata purtroppo dalle terribili notizie provenienti dall’Ucraina – la Parola di Dio illumina le nostre esistenze. Non ci aliena dalla realtà, ma al contrario ci chiede di andare al cuore dei problemi e di porre così le basi per un mondo migliore.

Rileggendo la pagina del Vangelo di Luca proposta dalla liturgia (Lc 6,39-45), vi ho trovato una prima lieta notizia: Gesù parla alla folla nella pianura. Altrove ha preferito salire sulla montagna portando con sé solo alcuni discepoli. Qui sembra invece che voglia raggiungere proprio tutti: il suo messaggio vale per ogni persona – direi – per i credenti come per i non-credenti.

È il primo annuncio di salvezza: il Signore si lascia trovare. Anzi, fa di tutto per essere raggiunto da chi desidera seguirlo.

Quella pianura della Palestina in cui Gesù ha deciso di rivolgere questo discorso mi sembra come la nostra Firenze, adagiata nella piana dell’Arno: non si trova su una vetta irraggiungibile e non è nemmeno una cittadella fortificata. Proprio qui il Signore si è fatto trovare in questi giorni, per rivolgere ancora una volta a noi pastori e a tutti i delegati presenti una parola di salvezza.

Ma allora perché Gesù parla in parabole? Perché non ha detto espressamente cosa si aspetta dai suoi discepoli? Perché non ha comandato cosa fare? Credo che lo abbia fatto perché ha creduto in loro e crede ancora oggi in noi: sì, prima ancora che noi crediamo in lui, il Signore crede in noi. Crede nella nostra intelligenza e nella nostra responsabilità. Crede che saremo disponibili a convertirci. Crede che sapremo prendere le decisioni migliori per noi stessi e per coloro che ci sono affidati.

Provando allora ad entrare così nelle immagini che Gesù ci consegna nel Vangelo, mi sono accorto che si tratta di tre coppie: il maestro e il discepolo, la pagliuzza e la trave, e l’albero e il suo frutto. Nella Bibbia questo gioco delle coppie è frequente: Gesù stesso manda ad esempio i discepoli a due a due (cfr. Mc 6,7).

C’è dietro una “sapienza tutta mediterranea”, che dovremmo imparare ad apprendere di nuovo: quella del confronto continuo. Anche la fede cristiana non è indottrinamento né autoconvincimento, ma ascolto di chi ci ha preceduto e confronto con altri compagni di viaggio. Abbiamo bisogno di continuare a confrontarci con il Signore e con gli altri: rinchiusi nella nostra solitudine, come singoli, come Chiese e come popoli, rischiamo di trovare soluzioni inappropriate, se non distruttive. Ed è questa l’esperienza che abbiamo fatto, ascoltando le varie storie provenienti dalle sponde del Mediterraneo: il confronto ha favorito la comunione e la fraternità.

Allora le prime parole di Gesù diventano più chiare: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?» (Lc 6,39). C’è un legame stretto tra il maestro e il discepolo, tra il pastore e il suo gregge, tra il sindaco e i suoi concittadini. Da chi guida gli altri ci si aspetta che intraveda il futuro prima e meglio degli altri grazie alla sua posizione privilegiata e che indirizzi i percorsi altrui verso il bene, anche quando questi sono in salita.

Ancora una volta Giorgio La Pira, che fu sindaco di questa città con grande sapienza cristiana, si staglia come una figura esemplare: una guida capace di ispirare la sua vita e le sue scelte a quelle del Figlio di Dio, che è venuto per servire e non per essere servito (cfr. Mc 10,45). Così ha reso Firenze una città in grado di tessere relazioni di pace con tutte le nazioni e tra tutte le nazioni.

All’immagine del maestro-discepolo, Gesù aggiunge quella della pagliuzza e della trave: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?» (Lc 6,41). L’immagine è volutamente grottesca e, mentre ci fa sorridere, ci fa anche pensare. Il tronco non solo è più grande della pagliuzza, ma è anche un impedimento a vedere l’altro per quello che è veramente.

Gesù non vieta il giudizio in sé: lui stesso più volte ha invitato a valutare quanto accade nel mondo (cfr. Mt 16,1-4). Adesso però la sua preoccupazione è un’altra: spiegare come si forma un giudizio corretto. E la sua soluzione consiste nel guardare prima se stessi e poi gli altri. Così il Signore svela l’orgoglio ottuso, di chi si sente superiore. Gli ipocriti (cfr. Lc 6,42) per il Vangelo sono coloro che, dicendosi impeccabili, ingannano gli altri nel dare un’idea sbagliata di sé e ingannano se stessi. Gesù sfida la resistenza a farsi correggere e quindi a diventare migliori: soltanto chi vede le proprie mancanze può migliorarsi; solo chi si riconosce malato può lasciarsi guarire (cfr. Mt 9,12).

Gesù chiede di passare dalla critica alla compassione, dalla compassione al perdono e dal perdono alla fraternità. Ancora una volta mi pare di riconoscere qui la fiducia che egli ci accorda: non ci dà una norma dettagliata da applicare, ma ci offre una chiave di lettura etica, certo della nostra responsabilità.

La fede, in fondo, non è etica? Non consiste forse in una esistenza fatta di scelte concrete secondo il Vangelo? La parabola evangelica ci comunica la speranza che è possibile diventare alberi buoni, che producono frutti buoni. Ecco la terza immagine: l’albero e il suo frutto.

Gesù lascia intendere come si può diventare “albero buono”: superando l’ipocrisia con l’aiuto dell’altro. In questo modo cambierò il mio cuore e riuscirò a portare frutti buoni per me e per il mondo. Nel cuore, infatti, nascono l’odio o la fraternità. Per il Vangelo, il cuore ovvero l’interiorità della persona si raggiunge grazie alle relazioni con gli altri e alle nostre stesse azioni, che ci fanno da specchio.

Nel passato questo insegnamento di Gesù ha già trovato spazio nel cuore di persone concrete come Giorgio La Pira, che sono diventate profeti di pace in un mondo che sembrava bloccato da tensioni latenti e guerre in atto. Ancora oggi la Parola di Dio rivela la speranza che cambiare il mondo sia possibile, a patto che cambi il cuore delle persone.

Possa il Mediterraneo, che è lo spazio geografico in cui il Figlio di Dio ha deciso di nascere e dove il suo Vangelo ha compiuto i primi passi, diventare una immensa cassa di risonanza di questo messaggio di fraternità.

Possano i popoli del Mediterraneo essere testimoni per il mondo intero di una pace possibile, quella che parte dal cuore convertito al Vangelo e produce scelte concrete per il bene di tutti.